domenica 30 settembre 2012

un bestiale colpo di fulmine

L'amore a prima vista esiste.
Ho sempre avuto uno spiccato gusto per l'asimettrico, l'irregolare, l'ibrido e sono stata folgorata da un porcellino oviparo ricoperto di lanuggine.
Dove l'ingegneria genetica ancora non è arrivata, da tempo è arrivata la lingua che, come si sa, è più lenta solo forse del pensiero, ma essendone l'ineluttabile estrinsecazione, è piuttosto rapida. E, spesso, quasi ineffabile nella sua capacità di comunicare immagini e suggestioni.
Ed è così che ho scoperto "die eierlegende Wollmilchsau". Ovvero, una scrofa che produce latte, lana e depone pure le uova.
Sfogliando il mio  bestiario mentale ho trovato solo la pallida "gallina dalle uova d'oro", ricorrendo poi alla saggezza popolare sono passata per "la botte piena e la moglie ubriaca". Ma direi che la perfezione dell'espressione crucca è inarrivabile.
L'animale pare non essere mitologico, piuttosto di ben più recente conio. La paternità più accreditata punta al 1959, quando lo scrittore Ludwig Renn (oppositore del nazismo, cultore dell'esperanto ed infine noto intellettuale della DDR) usa l'espressione in una sua poesia "Der Kampf auf das eierlegende Woll Schwein". Qui l'animale è un "maiale" e non ha ancora all'attivo la mirabilia del produrre latte.
Come quelle del Signore, anche le vie della lingua sono infinite, e non si sa con certezza come la creatura sia passata nel gergo militare, per indicare armi versatili e molto efficaci. Oggi, siccome già del maiale non si butta via niente, e ancor di più in Germania, la scrofa di cui sopra  indica un qualcosa o un qualcuno che sa fare tutto, che ha solo vantaggi. Un all-in-one che, ahimé, esiste solo a livello lessicale.
Augurando a tutti di imbattersi nella propria scrofa-da-latte-e-lana-uova-deponente, a me non resta che usare la mia cartina da tornasole linguistica preferita: il mio coinquilino D., da me e tutti i miei io unanimamente proclamato tedesco medio e rappresentativo della categoria. E sì, mi conferma che al lavoro, per esempio, tutti sono alla ricerca della eierlegende Wollmilchsau.
Per avvistamenti, contattatemi in privato.

sabato 29 settembre 2012

cronache da un WG

Da ormai 6 mesi condivido tetto ed affitto con D., brandeburghese doc. E, al di là di ogni mia più rosea aspettativa, l'inquilino si è dimostrato inesauribile fonte per i miei rimuginamenti pseudoantropologici.
La nostra convivenza è da sempre scandita da ritmi inalterati: ci incrociamo la sera durante la sua pausa sigaretta, sul balcone. Lui scenera sui passanti ed io mi dondolo sul corrimano, discorriamo del tempo infame, degli stracci che non strizzo abbastanza energicamente, osserviamo la composita fauna delgi avventori della birreria sotto casa, così vicini che quasi potremmo accarezzarne le calotte craniche.
Col cambio stagione c'è un nuovo, avvincente dibattito in corso: come evitare che l'autunnal ricambio del mio crine blocchi gli scarichi della vasca. Ci scambiamo i consigli delle reciproche madri, valutiamo i costi dei detersivi appositi, misuriamo la grandezza dei filtri per lo scarico. Certo, rasarmi a zero sarebbe la soluzione migliore, D. si sentirebbe meno solo nell'impetoso avanzare del suo deserto tricologico. Per ora, salomonicament,e ognuno ha comprato un detersivo per gli scarichi, etichetta canta: speciale per gli ingorghi di capelli.
Il meglio, D. lo sfoggia quando è ubriaco. In realtà, questo succede con cadenza almeno bisettimanale, ma la fenomenologia della ciocca non sempre mi dà le stesse soddisfazioni. Spesso si manifesta con una cavalcata porta-bagno-letto che dura meno di 30 secondi totali, con un "buona notte" buttato lì a salvare le apperenze.
Alle volte, tuttavia, i miei pazienti appostamenti sul suo tragitto (ho il favore della posizione: la mia camera sta tra il bagno e la sua) vengono premiati.

Qualche giorno fa, peraltro con un amico in basita diretta Skype, D. è entrato saltellando e sventolando uno stecchino. "Miriam, ho qui il tuo test di gravidanza. Haha, lo chiamerai D., vero, anche se è femmina?" Ci ho messo un po' a capire che quello che mi mostrava come trofeo era, in realtà, uno di quegli stecchini per mescolare il caffè take away, qui particolarmente lunghi per via delle secchiate che si tracannano. Ho provato a convincerlo che il nostro WG sarebbe rimasto a due, ma non c'è stato niente da fare.
Oggi è tornato col solito occhio sinoforme e l'andatura strascicata, sintomo inequivocabile di ciocca socievole, quella che coinvolge anche me. Stavolta sotto il naso mi sventola un biglietto da 20. Paghiamo le bollette in anticipo, e pare che applicando pedissequamente i suoi teutoni consigli, io abbia contribuito all'abbattimento del consumo di energia elettrica.
Subito dopo, si festeggia con un bicchierozzo di vodka pura, che fingo svogliatamente di sorbire mentre lui riesuma degli album di foto, ognuno con data, luogo, ora e non solo.
Eh sì, D. è quanto di più metodico io conosca. Perciò conserva biglietti, scontrini, giocattoli, pupazzi, qualunque cimelio di qualunque età ed occasione. Stasera la pausa sigaretta si preannuncia interminabile, ed io che volevo godermi una serata tra me e il mio nuovo libro.
Si comincia con gli scatti di D. appena nato: minuscole foto in bianco e nero targati DDR, per poi passare in rassegna il primo Lego, il primo giorno di scuola, le vacanze in Bulgaria ("avevo 7 anni ed è stata l'ultima volta che ho preso l'aereo", mi sottolinea, fiero di trascorrere le vacanze solo in patria, ormai), la maglia del Bayern Munchen (nel frattempo veementemente rinnegata).
In vodka, si sa, veritas. Così quando sfoggio uno dei commenti da copione "ah, ma che begli occhi azzurri ha tua sorella", D. si sente in dovere di controbilanciare cotal vezzoso complimento raccontandomi che la sorellona trentenne ha perso 30 kg e poi si è ritoccata quanto era rovinosamente ceduto con laute dosi di silicone. Glisso signorilmente sulla sua caduta di stile, pregando che Morfeo abbia presto il sopravvento su di lui.
Ma oggi è la mia giornata fortunata: oltre che coinquilina risparmiosa, guardandosi le dita dei piedi, D. mi confessa che sono davvero una cara compagna di appartamento. Al netto della mia burrascosa relazione con il fornello elettrico, della mia incomprensibile venerazione per il parmigiano e del mio tuttora titubante accento brandeburghese. E' una dichiarazione, non c'è dubbio.

Così mi sento in dovere di ricambiare, e lodo la sua minuziosità nell'innaffiare ogni pianta con il millilitraggio giusto (ogni pianta ha un'etichetta apposita), l'inarrivabile lungimiranza con cui tiene uno stock di lampadine sempre pronto, il coraggio con cui riesce a cibarsi di spaghetti in lattina. Il mio elogio non può che soffermarsi sulla regola per cui ogni ospite deve portare in omaggio almeno un rotolo di carta igienica per placare la sua fobia di rimanerne senza. (Evito di confessargli che io ne esento i miei, di ospiti, fiduciosa che avere un Kaiser's aperto tutti i giorni fino a mezzanotte dall'altro della strada e un 24h/24 sotto casa possa scongiurare l'apocalittico scenario dell'assenza di rotoli al momento del bisogno).
Il mio sonetto d'amore raggiunge vette encomiastiche quando gli faccio notare che da ubriaco è il miglior aspirapolvere mai brevettato: ha lo strambo vizio di adocchiare le briciole più nascoste, e si ostina a volerle raccogliere tutte.
Le reciproche dichiarazioni volgono al termine quando D. decide che non ha le forze per attendere che io finisca la mia vodka, e magnanimamente se la ingurgita lui.
Io torno a meditare sulla rilevazione shock che mi ha fatto: oggi, al bar, per una scommessa si è bevuto un milkshake con wurstel e cipolla, tiepido.
Mi rassegno. è una battaglia persa in partenza: non potrò mai dargli le soddisfazioni che mi regala lui.
Il giorno dopo, al duro risveglio: sulla lavagnetta dove ci lasciamo messaggi (magnetica: non si deve ricomprare nè carta, nè gesso, nè pennarello): "merda di castoro x3" e un disegno esplicativo.

lunedì 24 settembre 2012

Altars

One lands on an altar. There are many ways to get to altars, and many different altars. Power, ambition, money, love. One can climb on an altar, purchase it, get it as a gift, be thrown onto it.

One keeps clinging on the alter just out of fear. The magnificent statue of whatever God glances at the floor and shivers. Just one creak and the statue will smash to the ground, the precious, silky marble scattered in countless splinters which no one will ever be able to put back together.

Our life is a but an up and down of altars. The word derives from “to feed”, the desk where human beings offered their Gods a sacrifice, mostly other animals if not other human beings. Blood-thirsty Gods. Or it derives from “high”, where we now place ourselves, equally blood-thirsty and merciless.

How breathe-taking would it be, to blow all altars at once, to grin at the clash of supposed greatness turned into dust of greatness.  And then walk through the ruins realizing we cannot even enjoy our echo, as there would be nothing, but destruction.

Autumn


Autumn is ready to happen. And here it is just something else. The colours resemble those of my childhood drawings, displaying every possible shade between red, brown and yellow. And the wind is so violent, it beats up the trees till the leaves whirl down in rage. They’re so many that street cleaners need to pile them up or it’d be too slippery on the ground.

Already wrapped in my jacket, in Tiergarten I breathed the autumn in the making and downed every sunray as if it were my last. And there’s a high chance my last will be soon. But then the dimmest beam will be reflected by thousands of swirling leaves and it will all look warm for a little while.

To compare myself to a falling leave would be playing it easy. And it would feel rather profane.

A friend entering my room went like “hey, but your bookshelf is upside down”. I had never cared to check the screws, and it looked just as fine to me. This Dane glanced at it once. Sometimes I feel like that shelf, but it takes a Scandinavian to spot it and put things back in order. If only I worked like an IKEA piece of furniture.

As I sink into bed to read about the melancholic love of an inveterate monogamous clown, leaves keep falling, or maybe just leaving, which to them is just another way for living.


Les sanglots longs 
 Des violons 
 De l'automne 
 Blessent mon coeur 
D'une langueur 
  Monotone.

 Tout suffocant 
 Et blême, quand 
  Sonne l'heure, 
 Je me souviens 
 Des jours anciens 
  Et je pleure,

 Et je m'en vais 
 Au vent mauvais 
Qui m'emporte 
 Deçà, delà, 
 Pareil à la 
  Feuille morte.




venerdì 21 settembre 2012

Over


No more switching on my computer while filling my personal water jar and panting with my breathe more for the stuffy air than for the 5 floors or the biking. No more same old faces I got used to nor ambushing the toilette when it´s free.

I´ve been a white collar for a while, and now I wanna pretend to be running around wild, a naïve puppy having shaken the lead off and facing the same old self as if it were any new. Paths stretch out there, I need to choose one and go for it. Till it´s time to change direction, yet again.

My boss just came and quickly embraced me. “Wir sehen uns, wa?” Of course we will.
Whatever was left unsaid, I´ll miss many of these people, the little inside jokes made up in a language we invented not to kill time but not to let the running time kill our braincells.

I´m sure I´ll forget something on my desk. And I guess my shape will be lingering on the chair for a while and my work account will be working and journalists will obliviously write Ms Franchina for whatever query.

I feel weird, somehow numb. I haven´t grasped the extent of this all yet. My resignation says “31.09.2012”, but I had some days off and so it´s today. On Tuesday it´s going to be my personal birthday in Berlin: 365 days. I have no taste for dates, faking a good historian attitude, I think they´re mere conventions.


But hey. I feel wrinkles marking my face. I´ll wake up the same old person, and yet I´ll need to figure out where and how to go. Maybe whom with.

But I guess this journey  preposterously called life is all about stretching out thumbs and being taken / take people on board.

I got a pair of socks for sandals and I have a Jewish name. I guess the (mental) wander begins. Or has it ever stopped really?


sabato 15 settembre 2012

Antigeodiformi pupilli


Insegnare italiano è divertente. Altro che annunci per trovare partner, incontri al buio, e tutta la ridda di appostamenti più o meno da manuale per arricchire la propria collezione antropologica. Buttate nella rete l’amo dell’idioma (e non ho detto lingua), e vedrete quali succulenti pesci abboccheranno.

I miei discepoli conoscono di fama il ligio L., curvo su suoi appunti e che registra con minuzia anche gli accenti e le pronunce delle parole, che mi accoglie con un “il mio cuore è ebbro” e subito dopo sfoggia “devo pisciare”, così come l’ormai mitica G., splendida cinquantenne cinofila e banfofila (sì, proprio di lino Banfi).

Oggi ho conosciuto F., per privacy non posso scriverlo per esteso, ma diciamo che è un nome molto…floreale. E di cognome fa Lupo, quindi per il web sarà Fiorino Lupo, binomio quasi ossimorico. Tutto quel che so di lui è che tra un mese fa un mega-tour dell’Italia, da Roma alla Sicilia, e che ha studiato da solo un intero libro. Munita del solo indirizzo, mi impedalo.

Arrivata al numero 233, non trovo che un supermercato Netto. In preda al panico, giro vorticosamente su me stessa in cerca di un’entrata nascosta, un campanello celato, un cunicolo segreto. Nisba. La lancetta mi dice che mancano 10 minuti alla prima lezione, non posso far tardi. Chiamo il mio coinquilino D., espediente cui ricorro solo quando proprio non trovo via di scampo. Al telefono lo guido sino al mio outlook: digita la password (ma perché, perché l’ho voluta mettere in polacco!!), trova l’iconcina di Outlook, lo apre, “sì, posta in arrivo, ganzo”. Mal che vada, se a Fiorino corrisponde, invece, Jack lo Squartatore, il mio teutone coinquilino potrà prontamente allertare chi di dovere in caso sparisca. A occhio e croce, potrebbe cominciare ad avere sospetti dopo una settimana, non mi va poi tanto male.

Devo andare al 223. Memoria infame. Portone signorile, scale in marmo. Apperò il Fiorino. Si materializza sulla porta, a spanne 190 cm di candida crucchità, occhio azzurro spento dietro l’occhiale di metallo, viso oblungo che incarna il contrario del geoide: non è, decisamente, schiacciato ai poli. T-shirt grigia in pendance con lo sguardo, non ho sottomano Lombroso, ma non mi dà l'aria del killer esperto. Zompetto fingendo una grazia che non ho: suppellettili e tavolinetti ovunque, mi basta un fugace sguardo e capisco che la sedia su cui sono appollaiata vale come tutto il mobilio di camera mia.

Dissimulo nonchalance, e via col protocollo. Presentazioni reciproche, sorrisone stampato per incoraggiare  la crucca favella a non titubare, annuisco decisa ogni 5 minuti, anche quando Fiorino si incarta in un’infilata di strafalcioni e suoni incomprensibili. Con le correzioni si va in crescendo, all’inizio è come la sigla che mi lascia interdetta (e rovina immancabilmente il risultato) nelle ricette “q.b.”

“io sono 27 ano”

Quanti, scusa? “27, sieben und zwanzig?”. La forma ad “O” della mai bocca scompare plasticamente in un sorriso d’intesa, “hai tradotto perfettamente”. Avrei scommesso almeno 35 primavere, altro che. Il buon Fiorino è store manager (si vede che il successo logota), il suo ragazzo designer. Di lui avverto la sincopata presenza dietro una porta da qualche parte, casomai i recessi più malandrini di me avessero sperato di unire l’utile al dilettevole e scovare in un colpo solo allievo e gigolo.

Cosa fa Fiorino nel tempo libero? Si sa, non c’è cavillo grammaticale che, se imparato con un argomento che piace, non sia espugnabile. “Kayak e moda”. Qui si fa dura. Immagino il presente del verbo “navigare” e accessori à la page che si piegano ad illustrare maschile e femminile. Provo a forzare la mano, ma il laconico Fiorino non pare avere altri hobby, al massimo cucina. Italiano, ovviamente. Presa mentalmente nota dei gusti del pupillo, sondo un po’ il suo senso dell’umorismo. E anche qui, rispolvero un mio ever green: il video “differenze tra italiani e tedeschi”. Bozzetto riesce a scalfire la compostezza di Fiorino “Ah, ho un sacco di divertimento!” (il punto esclamativo è licenza poetica mia). Molto bene. Il fertile sentiero dei reciproci stereotipi è battibile, ho un piano B tra moda e kayak.

Fiorino mi offre la classica brocca di acqua del rubinetto crucca con limone dentro. Intanto mi racconta da dove viene, cosa ha studiato e cosa farà questo weekend. Complici le sue pause di riflessione, il mio discettare delle differenze tra il verbo “peccare” e la congiunzione “perché”che per Fiorino sono identici, la nostra prima ora passa in fretta.

Pare abbia superato l’esame (perché in realtà, è sempre il mentore all’inizio ad essere sotto osservazione), e così Fiorino mi elargisce il suo numero di cellulare, salvando il mio sul suo gioiello di tecnologia. Per oggi, quindi, il mio compenso sta in u nuovo contatto nella rubrica e nell’orgoglio: ho ancora ben un intero anno solare per poter raggiungere lo status socio-economico del mio nuovo protetto. E, in più, non sono antigeoideforme.

lunedì 10 settembre 2012

La prima volta in costume adamitico

4 E l´entrata, 9 comprensiva di sauna e annessi (bagno turco, bagno vapore).  E l ´acqua è effettivamente pulita, nessuna palla di pelo di origine non meglio identificata, nessun insetto suicidatosi per annegamento, spogliatoi senza nulla da dire.
Soddisfatta dell´efficienza crucca, sguazzo cercando di ricordarmi i movimenti fondamentali. C. è venuta con me, tecnicamente perché potessimo incoraggiarci a vicenda, in realtà è per confortarci sui nostri ritmi bradipeschi e rimpallare l´una sull´altra le pause fra le bracciate.


Ma il clou  della serata ci aspetta fra i vapori della sauna finlandese e quelli del bagno turco. Ci zampettiamo tutte gaie, salvo ovviamente non seguire i cartelli ed essere quasi arpionate dalle vigili e poco cortesi bagnine, che ci fanno “ma non ci vedete?”.

Avevo sempre pensato che la sauna fosse ANCHE in versione adamatica, quasi ad avvisare i pudici avventori della possibilità di incappare in qualche visione nuda integrale.
Oh ingenuitá.
La sauna è SOLO in costume adamitico: pare che il classico costume da piscina si trasformerebbe in una incubatrice per microbi alle alte temperature della sauna. Ebbene sia, deglutisco un quarto di secolo di pudore, una decina di anni di catechismo e il congenito fastidio con la convivenza corporea.

I girovita degli astanti mi confortano, nessuno si aspetta defilé di 90-60-90. Signore con la chioma giá argentata, signori ormai senza piú chioma, ma anche giovani virgulti con troppe birre in corpo passeggaino disinvolti.

Ai tedeschi piace depilarsi, molti anche dove non batte il sole (che poi qua, non batte perché non c´è, non tanto perché non si espongano le parti in causa). Insieme al fatto che a queste latitudini solo la scarsa limpieza de sangre garantisce una dotazione pilifera notevole, i centimetri quadrati di corporeità svelati sono davvero tanti. Direi, tutti.

Un perentorio cartello all´entrata di ogni installazione intima “Niente sudore sul legno” ( “Kein Schweiß aufs Holz”, ma, complice i vapori, leggo ovviamente “Kein SCHEIß”) e le salviette, quindi, non coprono le vergogne, ma semplicemente servono per adagiarle sulle panche. Nonostante l´aromaterapia e il soffuso sentore di relax, io e C. non possiamo esimerci dal rompere il sacro silenzio, anche se solo sibilando, specie quando la bagnina riprende un trentenne che è rimasto impalato nel corridoio con evidente segno di apprezzamento per lo scenario circostante. Eh sí, per una volta ho rivalutato i vantaggi di avere delle gonadi piú sobrie e celate, al posto di un pennone che registra (e non proprio come un termometro) le emozioni del suo proprietario.

Notiamo anche qualche raro esempio di esibizionismo machista, che sfoggia poderose bracciate a delfino in una vasca grande come quella da bagno, pensata per recuperare la temperatura dopo una secchiata di acqua gelata (utile, questa, anche a calmare eventuali, sporadici bollenti spiriti).

Al momento della doccia, i sessi vengono peró  divisi, quello che fino a prima della porta era una gaia, emancipata condivisione, torna inspiegabilmente a diventare segregazione. E ben regolamentata: sono ritenuti liberi di scegliere presso quale metá del cielo docciarsi solo i bambini fino a 6 anni.
La segregazione, tuttavia, é solo un fugace preludio, prima degli spogliatoi, di nuovo comuni.

All´uscita, giusto per non farsi mancar nulla, il proprietario dell´appendice malandrina, quella richiamata veementemente dalla bagnina, ci sorprende con “io sono di Cefalú”. Ovviamente ha potuto gioire di tutti i nostri commenti a mezza voce, non proprio da manuale del bon ton.

Pazienza, finalmente a mio agio in una tuta, posso tuffarmi su una Schnitzel XL autoconvincendomi di meritarmela.

dall´alcova alla cattedra

E´ domenica, l´ultima di sole secondo le previsioni meteo, che hanno piú l´aria di necrologi, ormai.

Il pacioso U., fratello di B., mi ha mandato in missione alla sua cassetta della posta: lui pensava di andarsene a zonzo per soli 3 giorni, in realtà è in giro da due settimane. Unico corredo: le inseparabili infradito e spero piú di qualche cambio di vestito. In effetti, quando varco la soglia di casa, tutto farebbe pensare ad un ritorno immediato: fette di pane verderame disposte quasi alla Pollicino, una birra non del tutto finita lasciata a sorvegliare il pc ancora accesso, il letto disfatto e provato da usi evidentemente non solo canonici.

Guardo e passo, tutta intenta al mio compito. Butto le varie pubblicità di sushi e (poiché siamo a Friedrichshain) di circoli di ostetricia hippy. Eccola, la posta agognata, con tanto di timbro dell´universitá di Bielefeld. Come da istruzioni telefoniche, apro la busta e ne leggo il contenuto. Bisogna pagare le tasse universitarie. Mentre declamo al pacioso U. (per me è davvero diventato un epiteto quasi omerico) il contenuto, mi incaglio su una parola che mi sembra non c´entrare nulla, un suono alieno.

Leporello”.
L´iscrizione potrá considerarsi definitivamente compiuta al momento della ricezione del leporello, che le invieremo dopo il pagamento delle tasse del semestre”.

Leporello, mi suggerisce l´onnipresente Wikipedia, era il fedele servitore di Don Giovanni, colui che faceva il palo mentre il padrone si dava da fare per tessere la sua fama nell´alcova.  Non solo: il ligio servitore annotava tutte le conquiste del suo instancabile padrone. I numeri non possono competere con la modica cifra richiesta dalle università  tedesche (in questo caso, circa 200 E): 1003 donne in Spagna, 640 in Italia, 231 in Alemagna, 100 in Francia e (solo) 91 in Turchia.

Ed ecco svelato l´arcano. Il buon Leporello, per star dietro ai numeri di Don Giovanni, dovette piegare a fisarmonica la carta su cui prendeva nota. Cosí  nelle università tedesche i “libretti” sono pieghevoli, quelli dove si registrano i voti e le ricevute dei vari pagamenti.

E pensare che mi sarei aspettata qualcosa come “fogliettoripiegatoafisarmonicaperleregistrazioni”, il classico lemma straniero-friendly, che cagiona reazione allergiche la cui sintomatologia oscilla fra il mutismo istantaneo, la balbuzie acuta e lo slogamento (talvolta irreversibile) della lingua. Ed invece, stavolta i mangiacrauti sono andati a prendersi un preziosismo addirittura sulle scene dell´opera, per trascinarlo dalle intimitá dell´alcova alle austere cattedre accademiche.

Come a dire: una vera sentinella linguistica non ha mai requie, nemmeno di domenica. E proprio come Leporello, deve starsene sempre all´erta, perché c´è sempre da prender nota.

mercoledì 5 settembre 2012

Di scartoffie & schiaccianoci



Inoltre, per infauste congiunzioni astrali, lo spirito-guida di questo mese sará: Papierkram. E giá il suono ha un che di cupo (ma trattandosi di tedesco, si sa che l´eufonia è male).

Kram” di per sé significa “ciarpame”, un qualcosa di indefinito e fastidioso, un peso in qualche modo. Eventualmente, una “faccenda” di cui non si vogliono svelare i contorni, insomma un´entitá che aleggia, di cui tutti conoscono l´esistenza, ma che nessuno ha voglia di affrontare concretamente. Tanto è vero che il verbo “kramen” sta per “frugare, rovistare”, insomma metter le mani in qualcosa di disordinato e che si accumula nel tempo.

Et voilá, il mese di settembre per me non sará quello della prevenzione dentale mentre tempro gli incisivi con una mela verdissima, né quello del faticoso rientro fra i banchi di scuola con l´ultima Smemoranda pronta da pasticciare, bensí quello delle “scartoffie”. La burocrazia tedesca forse non è bureaucrazy, come agli anglofoni piace chiamare la nostra, ma mi ricorda un ingranaggio a prova di nervi. I requisiti crucchi minimi di puntualità ed efficienza evitano sinistri esiti kafkiani, ma da quando ho deciso di palesarmi alla Burokratie federale, il mio faldone dei documenti è diventato il mio sancta sanctorum, l´oggetto che custodisco con piú cura e il mio perenne cruccio crucco. Per colpo di fortuna, il mio coinquilino è un burocrate, codice civile alla mano e tomi di leggi federali per rialzare il cuscino quando dorme, cosí ho un minimo di consulenza fra le mura domestiche.

Ho deciso di licenziarmi. Saggia, illuminata decisione coi tempi che corrono. Questo significa che devo renderlo noto all´ufficio di competenza. E qui i primi, amletici dubbi: il primo passo si fa presso l´Agentur für Arbeit o presso il Job Centre? Solo con il loro timbro dell´Agentur posso lanciarmi nelle braccia del Job Centre. Orbene, faldone sacro nello zaino, stamattina alle 7.30 sgambetto (poco giuliva) all´Agentur del mio distretto. In fila con me, per fortuna, il solito mosaico antropologico per sfiziare gli occhi e la mente: grasse signore in tuta d´acetato con l´aria torva e la permanente sfatta, punk assonnati  con 3 dobermann al guinzaglio, giovani e meno con varia gradazione melaninica e variegato taglio oculare.

Arrivato il mio tanto agognato turno, l´impeccabile biondona dietro il bancone mi sottopone alle domande di routine:
“Per cosa è qui?” “Registrazione di disoccupazione” “Studiato?” “sí” “Grado?” “Master” “ah. Non è questo l´ufficio cui deve rivolgersi, allora. Per i laureati di secondo livello c´è l´Agentur di….”.
Splendido. Mi fornisce una mappa, ma tanto l´agenzia in questione è dall´altra parte esatta della cittá, e ancora per 3 settimane sono colletto bianco, quindi mi tocca rimandare a data da destinarsi.
Telefono e mi assicurano che non serve alcun appuntamento. Dunque, giá alla radice gli imparati e i meno imparati sono divisi, si passa al setaccio e mi toccherà inoltrarmi nel Far West sconosciuto. Un altro capitolo del mio Papierkram, qualche nuova pagina per il mio prezioso faldone.

Delusa, ripasso velocemente da casa per smollare il faldone, l´idea di scarrozzarmelo per tutta la giornata e di metterne a repentaglio la sacra inviolabilità mi sconvolge. La burocrazia tedesca è riuscita dove piú di due decadi di indottrinamento materno hanno miseramente fallito: ORDINE (o tentativi di perseguirlo).. Il faldone è suddiviso in pratiche cartellette trasparenti, ognuna etichettata per recuperarne agilmente il contenuto. Ricevute, buste paga, registrazioni all´anagrafe, assicurazione. La mia vita di cittadina italiana espatriata potrebbe essere comodamente letta attraverso le scartoffie, persino i miei movimenti bancari stanno tutti lí, ogni tot la Sparkasse mi invia la stampata di ogni singolo centesimo prelevato o (piú di rado) depositato.


Regolarizzata la mia posizione, poi, dovró pelare la gatta dell´assicurazione sanitaria. O, come ho imparato a dire quii “schiacciare anche le noci piú dure”” (die harte Nüsse knacken).
Sempre di non finire io noce, e "loro" arnese.