Oggi ho obliterato la mia quota giornaliera di germanitudine. Il problema è
che sono solo le 9.37 di una cupa giornata di pioggia misto nevischio, e che la
mia compagna di ufficio uigura ha ribadito che lei è un essere freddo secondo
la medicina cinese, per cui bisogna alzare il riscaldamento al massimo.
E io sono piccolo e nero.
Dopo al sveglia delle 7, ignorando la subdola otite che sento sta per
colpire, mi sono infilata i pantaloni e la mantella antipioggia, inforcato la
bici e via, verso un corroborante caffè mattutino al bar più vicino. Oggi me lo
concedo, ho bisogno di un rito speciale: per la prima volta in 27 anni di vita
ho deciso di provare a mettere una pezza al devastante logorio del tempo e dei
bagordi al mio corpo: si va in palestra.
Mentre mi godo il mio secchiello di acqua nerastra, ecco lo spirito della
cruccaggine materializzarsi.
Un ragazzo allampanato, un po´nervoso, si siede al bancone vicino a me,
vista strada dove gli spazzini perdono la quotidiana lotta contro lo strato di
foglie morte che si appiccica al suolo. Il tizio si dimena, sbuffa facendosi
largo, finché il suo vicino di destra, un signore già grigio, si sposta ad un
tavolo per leggersi il giornale in pace.
Peccato che il giornale appartenga al locale, e il giovane inquieto esige
che il signore gliene dia metà, tanto non lo legge tutto contemporaneamente.
L´altro lo guarda sprezzante e seguita nella lettura, dicendogli che da
cliente, ora se ne sta quatto quatto a leggere tutto il tempo che vuole. Il
giovane si alza e scalpita, non è giusto, anche lui è cliente, ha ordinato ed
ha diritto al giornale. Il signore può sicuramente comprarsene uno di suo, mica
è studente, lui.
Insomma, la mia dose di caffeina mattutina si trasforma in adrenalina.
Ringrazio, per una volta, che non si tratti di un espresso, cosí non è troppo palese che resto solo per godermi la
singolar tenzone tra i due avventori. Ognuno si rifà al diritto, alla regola,
ad uno schema. Tipico.
Come il controllore del treno di settimana scorsa, che non sapeva come
risolvere il controverso caso di un passeggero cinese con regolare biglietto,
ma che dalla tendina del menu “nazionalità” disponibile sul sito delle ferrovie
tedesche, aveva scelto “deutsch” per mancanza dell´opzione “cinese”. Colto di
sorpresa a gestire l´entropia, i controllore ha puntato sul sempreverde “persecuzione”. Che ne
sia stato dell´incazzato passeggero con gli occhi a mandorla, non saprei.
O forse come la segretaria dell´immatricolazione studenti, spiazzata dai 12
euro che le ho presentato per la carta dei servizi. Giudicata colpevole: alla
domanda “hai 10,30 E?” avevo ben risposto “sí”, mica l´avevo informata dello
scarto dalla norma. Mi viene in mente, ancora, lo strambo caso del signor Frau
(Frau=donna), che faceva impazzire i funzionari di mezza repubblica federale
col suo inqualificabile “Herr Frau” (signor Donna), o come l´amico indiano
bislaccamente battezzato “Inder” che in tedesco significa, appunto, indiano, e
quindi come mai la carta di identitá riporta la nazionalitá al posto del nome?
Tornando a noi, il baldo giovine non si arrende e chiama in causa la
cameriera. Lei prova a mediare, smezzare il giornale ha un che
di soluzione ecumenica, ma niente: il signore è inflessibile e non può certo
cedere sul suo diritto di lettura. Insiste per parlare col proprietario, voilá
eccolo al telefono. Confabulano per un po´, alla fine il signore se ne va, e
altero butta l´oggetto della discordia al giovane “va bene, andró a comprarmene
uno, IO”.
Bene, sono pronta per sfidare le intemperie.
E dopo la pillola di teutonismo inaspettata, affronto quella che avevo
previsto. Tra me e la palestra universitaria se ne sta il bosco lungo il fiume
Saale, che è grosso e tumultuoso e minaccia di voler straripare ancora.
Ponte 1, ponte 2, virata dietro la collinetta. Ogni tanto intravedo altre
lucine rosse lampeggiare, altri ciclisti che come fuochi fatui si inerpicano
per i sentieri. Incrocio due spazzacamini, del resto è stagione: sulle varie
porte condominiali si annuncia il loro arrivo, segnale inequivocabile
dell´inverno alle porte.
Il bosco, si sa, è da sempre parte dell´immaginario nazionale tedesco, col
suo Eichenbaum (quercia) simbolo di vigore, riconciliazione con la natura e già
venerato dalle tribú sassoni. Poi anche
infilato nel simbolo del partito nazista, ma preferisco pensarlo come musa per
romantici e rivoluzionari, e poi luogo bucolico per le famiglie dell´era
industriale. Certo il Deutscher Wald è quasi ovunque domato, un reticolo di
sentieri ben mappati, stazioni di servizio, guide per funghi fa della verde
culla dello spirito teutone più una valvola di sfogo per l´ uomo urbano. Ma per
me, che il verde lo associo ancora ai campi tra i capannoni della bassa padana,
un colore che lotta per non farsi inghiottire del tutto, questo attraversamento
della wilderness tedesca ha un valore
simbolico.
Alla fine, niente ha posto un argine allo scempio del tempo sulla mia
muscolatura: il signor “casa delle
bevute” (cosí si tradurrebbe il suo cognome) ha decretato che ero troppo
malaticcia per essere iniziata al fitness. Ahimé la combo bosco-tempra del
corpo non mi è riuscita, per oggi. In compenso, visto un certo appetito, di
germanica grandezza, credo che opterò per dgli spätzle a pranzo, dribblando
l´offerta multi-kulti della mensa, che per oggi strizza l´occhio al Messico e
all´Italia (con un inquietante “ragú di verdure POMODORIZZATO”).