venerdì 6 dicembre 2013

Un grasso San Nicóla



Il mio collega barese oggi festeggia San Nicóla, con la O stretta. Come quando io orobicamente pronuncio fóto e móto e tópo, con gran diletto del resto dei lombardofoni. Ma Nikolaus é anche il Babbo Natale di mezza Europa centrale, Germania inclusa. Dopo avermi mostrato la nuova uniforme del Bari calcio, che orgogliosamente sfoggia (infausta assonanza con l´altra provincia) un San Nicola, bello abbronzato come da tradizione, il collega in questione mi ha anche narrato della lotta con i veneziani per la conquista delle preziose reliquie.


Il Nikolaus teutone, invece, é il classico uomo fuori forma e barbuto, che in tutti gli uffici della Repubblica Federale si manifesta sotto forma di cioccolatinii e piccoli presenti, segno inequivocabile del Natale alle porte. Quest´anno la furia (da queste parti mitigata) dell´uragano Xaver ha portato anche qualche spruzzo di neve e la fatale chiusura dei Weihnachtsmärkte.

Anche qui, nella mesta Halle, dalla prima di avvento il mercatino di Natale é il cuore pulsante della vita cittadina, che per qualche settimana ha un´imprevista impennata sociale. Ci si incontra sempre sotto la statua del buon Händel, ma fino al Nuovo Anno lo si fará per mangiarsi mandorle caramellate, salmone affumicato o un panino con fegato e cipolla. Io preferisco assaggiare democraticamente le varie bevande antifreddo, tutte servite in tazze da colazione con renne e fiocchi di neve e relativo Pfand: Glühwein (vin brulé) in mille varianti (rosso, bianco, ai frutti di bosco), grog, punsch, Feuerzangebowle. Ci si appoggia a degli spartani stand in legno, cercando di stringere la tazza fumante con tutte le proprie forze, vista la temperatura e il vento impietoso. 

Ed é allora che le barriere fra quartieri cadono, frantumate dal rito natalizio: ogni anno il pellegrinaggio per accaparrarsi la lanterna a stella, le figurine in legno del presepio, i libri in baratto raccoglie tutti gli hallensi. Non importa che vengano da Haneu, omofona di Hanoi in Vietnam, ovvero Halle-Neustadt, il sinistro quartiere DDR di soli Plattenbauten, o dal Paulusviertel, bolla di Hallensi per caso, venuti da un po´tutto il mondo per i vari centri di ricerca, o che siano- come me- Glachauer-Adliger, i borghesi della zona sud, che si davano arie da nobili ma restavano pur sempre artigiani. Chi capitasse per caso nella cittadina universitaria della Sassonia-Anhalt in questi giorni, avrebbe uno spaccato di buon vicinato, di dialetto dell´Est che si mischia a cinese, spagnolo e russo fra un brindisi (e vai di Puglia) e l´altro.

Ma, appunto, ieri le luminarie occhieggiavano flebili e tristi sulla piazza semideserta, i pentoloni vuoti e i faló spenti, i tram titubanti sotto i colpi di Xaver. Dal canto mio, ho rinforzato le difese immunitarie puntando al solito rotolo di grasso supplementare per l´inverno, sgranocchiando anche qualche Plätzchen, i biscotti che qui, d´obbligo, si impastano in compagnia e ci si regala a vicenda: stelline alla cannella, cornetti alla vaniglia, palline al cocco. 

E stamattina, al risveglio, Nikolaus si era ricordato anche di me, nonosante io resti fedele a Santa Lucia e a Babbo Natale. Mi ha regalato, difatti, la perla linguistica di questo, altrimenti, infausto 2013, l´espressione che meglio connota la mia relazione con il tedesco e, in generale, con le lingue tutte e la comunicazione.

„Ins Fettnäpfchen treten“.


Inciampare nelle ciotole del grasso. La traduzione piú immediata che mi sovviene é, al solito, non esattamente da manuale della Crusca, ma „fare una brutta figura“ non é proprio azzeccato. Ci si riferisce alle ciotole col grasso che si mettevano, un tempo, vicino alla stufa, per pulirsi gli stivali. Oppure, ancora, a quelle dove si raccoglieva il grasso che colava da salumi e salsicce appesi in casa. Un ospite inavveduto ci sarebbe inciampato di sicuro, cosí come chi si lancia parlando lingue non sue e ha una certa predisposizione ad errori imbarazzanti, punta dritto ad una figura di …beh, avete capito, merda.

Adesso che lo so, potró archiviare le mie innumerevoli uscite imbarazzanti in germanicus sotto un´etichetta appropriata. In attesa di arricchirlo di nuovi aneddoti, del resto un po´di grasso unge bene contro il freddo e le avversitá della vita

Vediamo come risponderá la buona, vecchia, cara, orobica Santa Lucia.

mercoledì 20 novembre 2013

a caso



Oggi ho obliterato la mia quota giornaliera di germanitudine. Il problema è che sono solo le 9.37 di una cupa giornata di pioggia misto nevischio, e che la mia compagna di ufficio uigura ha ribadito che lei è un essere freddo secondo la medicina cinese, per cui bisogna alzare il riscaldamento al massimo.

E io sono piccolo e nero.

Dopo al sveglia delle 7, ignorando la subdola otite che sento sta per colpire, mi sono infilata i pantaloni e la mantella antipioggia, inforcato la bici e via, verso un corroborante caffè mattutino al bar più vicino. Oggi me lo concedo, ho bisogno di un rito speciale: per la prima volta in 27 anni di vita ho deciso di provare a mettere una pezza al devastante logorio del tempo e dei bagordi al mio corpo: si va in palestra. 

Mentre mi godo il mio secchiello di acqua nerastra, ecco lo spirito della cruccaggine materializzarsi.
Un ragazzo allampanato, un po´nervoso, si siede al bancone vicino a me, vista strada dove gli spazzini perdono la quotidiana lotta contro lo strato di foglie morte che si appiccica al suolo. Il tizio si dimena, sbuffa facendosi largo, finché il suo vicino di destra, un signore già grigio, si sposta ad un tavolo per leggersi il giornale in pace.

Peccato che il giornale appartenga al locale, e il giovane inquieto esige che il signore gliene dia metà, tanto non lo legge tutto contemporaneamente. L´altro lo guarda sprezzante e seguita nella lettura, dicendogli che da cliente, ora se ne sta quatto quatto a leggere tutto il tempo che vuole. Il giovane si alza e scalpita, non è giusto, anche lui è cliente, ha ordinato ed ha diritto al giornale. Il signore può sicuramente comprarsene uno di suo, mica è studente, lui.

Insomma, la mia dose di caffeina mattutina si trasforma in adrenalina. Ringrazio, per una volta, che non si tratti di un espresso, cosí non  è troppo palese che resto solo per godermi la singolar tenzone tra i due avventori. Ognuno si rifà al diritto, alla regola, ad uno schema. Tipico.
Come il controllore del treno di settimana scorsa, che non sapeva come risolvere il controverso caso di un passeggero cinese con regolare biglietto, ma che dalla tendina del menu “nazionalità” disponibile sul sito delle ferrovie tedesche, aveva scelto “deutsch” per mancanza dell´opzione “cinese”. Colto di sorpresa a gestire l´entropia, i controllore ha puntato sul sempreverde “persecuzione”. Che ne sia stato dell´incazzato passeggero con gli occhi a mandorla, non saprei. 

O forse come la segretaria dell´immatricolazione studenti, spiazzata dai 12 euro che le ho presentato per la carta dei servizi. Giudicata colpevole: alla domanda “hai 10,30 E?” avevo ben risposto “sí”, mica l´avevo informata dello scarto dalla norma. Mi viene in mente, ancora, lo strambo caso del signor Frau (Frau=donna), che faceva impazzire i funzionari di mezza repubblica federale col suo inqualificabile “Herr Frau” (signor Donna), o come l´amico indiano bislaccamente battezzato “Inder” che in tedesco significa, appunto, indiano, e quindi come mai la carta di identitá riporta la nazionalitá al posto del nome?

Tornando a noi, il baldo giovine non si arrende e chiama in causa la cameriera. Lei prova a mediare, smezzare il giornale ha un che di soluzione ecumenica, ma niente: il signore è inflessibile e non può certo cedere sul suo diritto di lettura. Insiste per parlare col proprietario, voilá eccolo al telefono. Confabulano per un po´, alla fine il signore se ne va, e altero butta l´oggetto della discordia al giovane “va bene, andró a comprarmene uno, IO”.

Bene, sono pronta per sfidare le intemperie.

E dopo la pillola di teutonismo inaspettata, affronto quella che avevo previsto. Tra me e la palestra universitaria se ne sta il bosco lungo il fiume Saale, che è grosso e tumultuoso e minaccia di voler straripare ancora. 

Ponte 1, ponte 2, virata dietro la collinetta. Ogni tanto intravedo altre lucine rosse lampeggiare, altri ciclisti che come fuochi fatui si inerpicano per i sentieri. Incrocio due spazzacamini, del resto è stagione: sulle varie porte condominiali si annuncia il loro arrivo, segnale inequivocabile dell´inverno alle porte.

Il bosco, si sa, è da sempre parte dell´immaginario nazionale tedesco, col suo Eichenbaum (quercia) simbolo di vigore, riconciliazione con la natura e già venerato dalle tribú sassoni.  Poi anche infilato nel simbolo del partito nazista, ma preferisco pensarlo come musa per romantici e rivoluzionari, e poi luogo bucolico per le famiglie dell´era industriale. Certo il Deutscher Wald è quasi ovunque domato, un reticolo di sentieri ben mappati, stazioni di servizio, guide per funghi fa della verde culla dello spirito teutone più una valvola di sfogo per l´ uomo urbano. Ma per me, che il verde lo associo ancora ai campi tra i capannoni della bassa padana, un colore che lotta per non farsi inghiottire del tutto, questo attraversamento della wilderness tedesca  ha un valore simbolico.

Alla fine, niente ha posto un argine allo scempio del tempo sulla mia muscolatura: il signor “casa delle  bevute” (cosí si tradurrebbe il suo cognome) ha decretato che ero troppo malaticcia per essere iniziata al fitness. Ahimé la combo bosco-tempra del corpo non mi è riuscita, per oggi. In compenso, visto un certo appetito, di germanica grandezza, credo che opterò per dgli spätzle a pranzo, dribblando l´offerta multi-kulti della mensa, che per oggi strizza l´occhio al Messico e all´Italia (con un inquietante “ragú di verdure POMODORIZZATO”).

venerdì 27 settembre 2013

se liberal é libertino



Il post elezioni, si sa, è periodo di bilanci e progetti. A maggior ragione per chi, come i Liberali, non ha raggiunto il 5% e se ne torna a casa con le pive nel sacco. Ma il loro candidato Bruderle qualche titolo di giornale se l´è guadagnato, e a me ha consentito di imparare un altro vocabolo crucco.
Eh sí, perché come esempio di  Schwerenöter”, un amico tedesco mi ha citato proprio quest´ometto occhialuto e dimesso. 

Ad addentrarsi nell´etimologia, Schwerenöter erano gli epilettici, coloro che, presi da un attacco che allora si credeva segno di una condanna divina, non riuscivano più a tenersi a freno. Oggi, invece, il termine indica un uomo che ha un certo debole per l´altra metà del cielo, accusa che si mosse a Bruderle quando notó che la sua intervistatrice avrebbe potuto ben riempire un Dirndl, il tipico abito bavarese che in questi giorni imperversa nelle vetrine federali, complice l´Oktoberfest. 

Chi l´avrebbe mai detto che anche i politici Schwarz-Rot-Gold corressero dietro alle gonnelle? Anche se i tedeschi prediligono una donna in grembiule, visto che parlano di “Schürzenjäger” (cacciatore di grembiuli). Sará forse il luteran retaggio della donna tutta Kinder, Küche, Kirche?

Non è chiara l´origine dello slittamento di significato di “Schwerenöter”, ma probabilmente un uomo davanti ad un decolleté generoso tende a non tenere a freno la lingua e ad esternare complimenti, anche un po´grossolanamente e senza censure.  

Uno sguardo veloce ai sinonimi riporta “Frauenheld” (eroe di donne), “Weiberer” (che forse ricalca l´anglofono womanizer) e il piú classico “Verführer”, il seduttore che conduce (e chi non conosce il significato di “Führer?”) fuori dalla retta via. 

Insomma, strano ma vero, anche i teutoni hanno un repertorio lessicale per descrivere i piacioni e i Casanova. Basta sempre tener presente il monito dei popolari Wir sind Helden, che cantano “I tedeschi flirtano molto sottile, in Germania l´amore cammina piano”.

 Aurélies Akzent ist ohne Frage sehr charmant
Auch wenn sie schweigt wird sie als wunderbar erkannt
Sie brauch mit Reizen nicht zu geizen
Denn ihr Haar ist Meer und Weizen
Noch mit Glatze fräß ihr jeder aus der Hand

Doch Aurélie kapiert das nie
Jeden Abend fragt sie sich
Wann nur verliebt sich wer in mich

Aurélie so klappt das nie
Du erwartest viel zu viel
Die Deutschen flirten sehr subtil

Aurélie so klappt das nie
Du erwartest viel zu viel
Die Deutschen flirten sehr subtil

Aurélie die Männer mögen dich hier sehr
Schau auf der Straße schaut dir jeder hinterher
Doch du merkst nichts weil sie nicht pfeiffen
Und pfeiffst du selbst die Flucht ergreifen
Du musst wissen hier ist weniger oft mehr

Ach Aurelie in Deutschland braucht die Liebe Zeit
Hier ist man nach Tagen erst zum ersten Schritt bereit
Die nächsten Wochen wird gesprochen
Sich auf's Gründlichste berochen
Und erst dann trifft man sich irgendwo zu zweit

Aurélie so klappt das nie
Du erwartest viel zu viel
Die Deutschen flirten sehr subtil

Aurelie so einfach ist das eben nicht
Hier haben andre Worte ein ganz anderes Gewicht
All die Jungs zu deinen Füßen wolln sie küssen auch die Süssen
Aber du merkst das nicht
Weil er dabei von Fussball spricht

Ach Aurelie du sagst ich solle dir erklärn
Wie in aller Welt sich die Deutschen dann vermehren
Wenn die Blumen und die Bienen in Berlin nichts tun als grienen
Und sich nen Teufel um die Bestäubungsfrage schern

Aurélie so klappt das nie
Du erwartest viel zu viel
Die Deutschen flirten sehr subtil

domenica 18 agosto 2013

Di riti ed antenati



Dal giorno del mio saluto al suolo patrio, ogni estate coincide con un pellegrinaggio piú o meno lungo nella terra degli avi. Sciacquo compunta i panni al Serio, zompetto bucolicamente per i campi concimati della Bassa Bergamasca, rendo solenne omaggio a Cittá Alta. Ma soprattutto, mi sottopongo alla cura all´ingrasso sotto l´implacabile direzione materna, irrinunciabile rito che sancisce la mia lealtá gastronomica al Belpaese

Ovunque io veleggi (tappe previste: la perfida Albione e la terra degli zoccoli arancioni), nel mio dna é iscritto che le Alpi son le colonne d´Ercole culinarie, non importa quanto succulenti siano i Maultauschen o quanto mi piaccia la cucina viet: e il rientro agostano- come quello natalizio- rinnova questo imprinting a suon di carboidrati, formaggeria varia e salumi.

Il risultato, senza troppi rimorsi, é uno strato di tenero adipe per affrontare l´impietoso inverno della DDR. Quello che mi piacerebbe poter chiamare „Sitzfleisch“, ovvero „carne per sedersi“. Ahimé questo vocabolo ha ben altro significato, perché il carneo strato serve ben piú alti scopi: chi ne é dotato, persevera strenuamente in attivitá noiose o spiacevoli. Insomma, il fondoschiena da noi é simbolo di fortuna, qualcosa che capita senza che lo si meriti o lo si cerchi.  Per i teutoni, invece, indica caparbia determinazione, é un cuscinetto che si costruisce stringendo i denti. E sulle proprie carte ci si resta anche a costo di nutrirsi di soli ravioli in lattina o Studentenfutter, letteralmente il „mangime per studenti“, un pacchetto con un mix di noccioline, frutta secca, uvetta.


Del resto, chi in Germania „ha culo“, in realtá ha „un maiale („Schwein haben“), forse perché cosi´anticamente si chiamava l´asse nelle carte, o forse perché era il premio per chi perdeva ai tornei medievali.  

Come al solito, meditando a tempo perso, insomma „a naso“ (senza tirar dritto, come significa per i crucchi), finisco per arenarmi nelle croci et delizie del Kauderwelsch. Anche questa é una parola non letteralmente traducibile, una di quelle gemme che tocca capire e poi importare cosí com´é, oppure parafrasare. Il Kauderwelsch é un linguaggio ibrido, il creolo di chi mischia svariate lingue e pronunce. „Welsch“ é un antico termine per indicare le lingue romanze, e „kauder“ il desueto per „venditore“. 

A onor del vero, pare siano stati i mercanti nord italiani in giro per l´Europa i pionieri del Kauderwelsch, per cui se continueró a blaterare in formato Google Translate, irriverente ad ogni manuale di dizione, grammatica e lessico, sapró di aver avuto laboriosi antenati, dotati di gran Sitzfleisch.