sabato 28 luglio 2012

Pindaricamente sguazzando nelle fogne

Ieri ho capito che anche gli oggetti hanno un' anima. O, perlomeno, istinto al moto.

Ore 8.25, mi accingo a legare la bici alla rastrelliera davanti all'ufficio. Sequenze motorie ormai robotizzate, che uno crede non debbano mai più riservare sorprese.
E invece.
Il mio amato mazzo di chiavi, presagendo lo spirito olimpico, si è esibito in un doppio carpiato con elegante avvitamento finale e si è tuffato nel tombino di Wassergasse, 6.
Parabola senza sbavature, mi immaginavo il commentatore di RaiSport (Bizzotto, può essere?) in fregola per il virtuosismo tecnico. 
In pochi secondi ho visto sparire: chiave di casa, chiave dell'appartamento, transponder dell'ufficio, chiave del lucchetto. E la "M" in finto acciaio di cui il portachiavi si fregiava. 
In preda al panico, chiamo il tizio del bar farfugliando "mi sono cadute le chiavi in quel coso sulla strada dove sta l'acqua". Pronto accorre, e mi svela la parola del giorno "Gulli". Breve e simpatico, penserei ad un bel San Bernardo, ed invece è il vile tombino, colui che si è ingurgitato 50 E di transponder, 12E di lucchetto e circa una quindicina per la copia delle altre due chiavi.


Ripetendomi "Gulli" a mo' di mantra, busso al portone della nettezza urbana che sta giusto davanti a noi. Due energumeni si palesano, mi sento la piccola fiammiferaia. Biascicando in berlinese stretto, vengono e sollevano la grata manco fosse di carta velina.
"ah, scheisse, l'è andacia la quaia" mi dicono. Per colmo di fortuna, è un tombino di quelli senza fondo. Già mi vedevo a pescare con mano ardita fra i liquami a circa 50 cm, ed invece no, trattasi di gola profonda. In pausa pranzo il buon barista mi telefona, non capisco assolutamente come ha fatto, ma mi dice di aver tentanto la misurazione del fellone, e che è ben più di due metri.


Addio, mio caro mazzo. La capa prova ad intercedere affinchè mi sia risparmiato l'acquisto di un altro beeper, io sospiro di sollievo perchè,prevedendo l'intrinseca infedeltà degli oggetti, avevo pronta una copia di tutto e ho anche un lucchetto di scorta per la mia insostituibile graziella, macinatrice di km e sprezzante snobbatrice della BVG.

Ovviamente mi munisco di copia della copia. Al mastro chiavaio chiedo particolare attenzione, poi ahimè il portachiavi "M" è finito. Maledette Marlene, Marejke, Mathias e Manfred. Mi accontento di una W, con evidente sorpresa del chiavaio, che probabilmente non si era mai accorto che sembra una M al contrario. Ovviamente, la copia della copia non funziona, e mi accingo a tornare, sventolando lo scontrino, per esigere un cesellamento e regola d'arte. 

E dopo l'improvvisa dipartita delle vecchie chiavi, le sto immaginando che sguazzano nel sottosuolo berlinese. Così ho pensato di farci anche io una sortita (solo virtuale, per ora). 

Scopro così che è del 1869 il piano di dotare la capitale (allora di Prussia) di un sistema fognario, previa osservazione della rete di altre città europee che già ne avevano uno. Dopo svariato ponderare, i lavori cominciarono nel 1873, quando ormai Berlino era capitale del Regno di Germania. Oggi vi si conducono visite guidate, per una prospettiva nuova sulla città: in vari punti c'erano bunker per rifugiarsi durante i bombardamenti della II guerra mondiale. (qui per chi fosse incuriosito), fra cui quello del Führer: il 20 Aprile del 1945 ci festeggiò i suoi 56 anni, e 10 giorni dopo ci si suicidò. (qui una retrospettiva).


Scopro anche un' inquietante serie di cifre: nelle acqua berlinesi si rilevano tracce di oltre 3.000 farmaci, inclusi ormoni provenienti da contraccettivi orali. Si aggiunge poi che un miliardesimo di grammo di ormoni per litro è sufficiente a svalvolare i poveri pesci. Preferisco soprassedere e continuare ad abbeverarmi dal rubinetto, altrimenti dovrei passare a bere sola birra (qui molto meno cara dell'acqua in bottiglia) o bevande gassate (i tedeschi adorano le bollicine).

Infine, pindaricamente sguazzando nelle fogne, mi sovvengono ricordi d'infanzia, quanto aveva ragione il buon Proust. Ovvero, le tartarughe ninja. Già al liceo, con supponenza sentenziavo a mio fratello che i cartoni della mia epoca sì che erano seri, con Olli che per 3 puntate correva da una porta all'altra, Benji che sanguinava pur di parare un rigore, Lady Oscar che mi ha sempre creato seri problemi di identità sessuale. (postilla: sono rimasta basita scoprendo che parecchi Paesi europei, Germania compresa, il cartone di Olli e Benji non venisse trasmesso. Intere generazioni nate sotto Chernobyl si sono perse Mark Landers!)
Ma le tartarughe ninja. Scarichi radioattivi contaminano 4 tartarughine di fogna e un ratto appartenuto ad un maestro di arti marziali giapponesi. Le tartarughe hanno nomi dei grandi del Rinascimento e adorano la pizza da asporto. Diventano l' incubo della mafia (giapponese) di New York, addestrati dal loro saggio maestro topiforme. Decisamente, un cartone da 1986, radiazione docet. 

Mi sento, improvvisamente, decrepita. A breve andrò dalla mia diligente Gudrun e medito di disquisire di sistema fognario, del resto anche questa è lezione di civiltà. 
Seguendo i mille rigagnoli di Internet, sono anche capitata sul sito di una mostra di fotografie di...tombini. Eh sì, perhcè giustamente ogni chiusino ha il suo stile, il suo materiale, la sua epoca.




domenica 22 luglio 2012

Antropologia in corsia

Andar per compere a Berlino continua a stuzzicare la mia sete di antropologia a buon mercato, anzi da supermercato.

E le foto di oggi provengono dalla catena più prestigiosa, quella più cara, che di solito evito: il Kaiser's. Ma è esattamente a 200 mt dalla sedia dove le mie parti nobili riposano or ora, e soprattutto aperto dalle 7.00 alle 24.00 dal lunedì al sabato.

L'altra sera, con sprezzo del pericolo, mi sono addentrata nel reparto piatti pronti, quello che per il mio orgoglio culinario è la feccia, l'inferno, l'hic sunt leones, il monumento alla barbarie che dribblo schifata. Munita di telefono con minifotocamerina, mi ci sono aggirata a lungo, carpendo questi flash a rischio della mia incolumità: un paio di commessi, naturalmente oversize e torvi, mi ha guardato più volte in cagnesco.


Iniziamo con il nome: quasi sempre il girone infernale in questione ha un nome ben preciso:

Il binomio Knorr/Maggi qui sta per sopravvivenza di una vastissima fetta di umanità, interculturale, interclasse, inter qualunque cosa. I due signori in questione sono i numi tutelari del focolare domestico teutone.

Con mio stupore, scopro che Julius Maggi (1846-1912) è di origine italiana: figlio di emigranti lombardi che si trasferirono in Svizzera cominciando con dei mulini, non fu mai allievo modello. Dal padre rilevò, appunto, i mulini e qualche piccola azienda di rivendita verdure. Del 1886 è l' invenzione del magico dado da cucina e delle zuppe in polvere vegetali che però sapevano di carne. Il volpone Maggi aveva fiutato la pista giusta: con l'industrializzazione sempre più capillare, anche le donne diventavano operaie e tempo per spadellare ne avevano sempre meno. A sancirne il successo e il quasi incontestato monopolio fino alla II guerra mondiale, anche le pubblicità curate da un noto drammaturgo e la collaborazione con enti pubblici svizzeri che loadavano la praticità dei prodotti.


Di dadi, qui. ce n'è a perdita d'occhio. Ogni volta io spero di trovarne solo due diverse confezioni, il vegetale e quello di carne. Ed invece no, qui è il regno del dado. un intero scaffale mi propone confezion gigante, confezioni compatte, dadi per ogni scopo: per soffritti, per minestre, per frittate... Il dilemma della scelta (die Qual der Wahl). Inoltre, con intraprendenza di riflesso sviluppata a furia di entusiastiche visioni di Quark, noto all'uso che la consistenza di questi dadi è molto più molle rispetto ai nostrani, il colore più intenso e spesso la forma è esattamente cubica.

Del resto, a casa mia mia mamma è sempre stata una aficionada dei dadi con la signora riccioluta che sorbiva da un cucchiaio, quindi della concorrenza, la Knorr.

Internet mi conforta: almeno questo secondo dio è germanico, prova inconfutabile il nome. Carl Heinrich Theodor Knorr. (1800-1875) Per fortuna il cognome è conciso, adatto ad essere appiccicato su bustine multicolorate e ready to make.
Per lui fu un buon matrimonio a contribuire alla start up aziendale e partì con un sostituto del caffè a base di estratto di cicoria. Poi si allargò e, come Maggi, si buttò sulle farine miste, riuscendo ad ottenerle da piselli, tapioca, lenticchie e fagioli. Fu poi il figlio, peraltro contemporaneo di Maggi, a lanciare l'azienda e trampolino furono, di nuovo, i dadi, venduti anche (e te pareva) a forma di salsicciotto:

Lasciando l'affascinante storia aziendale, mi ritrovo di fronte alle paste pronte, la cui vista risveglia il sopito orgoglio patrio e gratifica il mio autoreferenziale indice di sposabilità per C.C.C. (comprovate capacità culinarie).

Per prima cosa l'occhio scorre sui nomi:

Le migliori, ovviamente, sono le paste con sughi facilissimi, quelli classici con cui anche senza dosi giornaliere di Clerici chiunque saprebbe destreggiarsi. In sacchetti sottovuoto, occupano pochi centrimetri. Li palpeggio con disgusto, dissimulando interesse commerciale sotto lo sguardo in cagnesco delle commesse di passaggio (ahimè il "click" dello scatto è tutto fuorhcè discreto, un paio di signore a passeggio fra le corsie sussulta di sorpresa).


Per i palati più esigenti, però, non mancano ricette più elaborate, così mi tocca eleggere la triade regina:
che con 79 cents permette di gustarsi indimenticabilii lasagne bolognesi, non melgio identificati spaghetti napoletani, e una succulenta carbonara, tutto "fix und frisch" (fresco e veloce).

Ma un altro dei miei favoriti rimane la latta di ravioli, qualcosa che davvero offende le mie pupille e di cui le papille non vogliono sapere.



Spossata dal food-watching, esco per due passi rinfrancanti, almanaccando su cosa mi preparerò per cena.
Mi si para davanti, in forma di furgoncino, un altro monumento alla cacogastronomia:
Qui si propone catering di panini spalmati di burro bio. Sì, il "Butterstulle" altro non è che una fetta di pane ricoperta di burro, su cui poi ognuno inventa le sue variazioni: marmellata, frutta, salumi, uova, verdure. O magari anche tutto insieme.

La sessione di antropologia sul campo è stata ardua: mi consolerò con una pastasciutta zucchine, speck e zafferano.







sabato 21 luglio 2012

Che storia l'eredità delle guerre

Ieri sono capitata ad un happy hour pseudo-brasileiro con una cricca di sudditi di Elisabetta, tutti rigorosamente con accento di Londra e sobborghi.
Il mio preferito è il Piccolo Lord, impeccabile Brit che scopro aver lavorato presso l'attuale vice primo ministro UK, tu pensa.
Al sesto cocktail biascica che lui non è affatto polite e politically correct, anzi rivendica di essere maleducato e campagnolo. Per zittirlo, mi basta dirgli che ogni volta che osa dire "fuck", un "nigga" muore. Mi avrà ripetuto mille volte che si può prendere in giro qualunque nazionalità, meno quelle oppresse dall' Impero dove non tramontava mai il sole. Ma questo significherebbe togliermi uno dei miei passatempi preferiti contro almeno metà della popolazione mondiale.
Tremando d'incredula political correctness, affonda i suoi regali dubbi nel bicchiere e via.
Ma col Piccolo Lord, laureato in Political Sciences e specializzato in Crucchia, si può sempre anche scambiare qualche interessante veduta sul mondo: lui la vede sempre da quell'isolotto borioso.

Così scopro che il nostro dito medio in Britannia (caso mai si osasse davvero usarlo prima di aver raggiunto livelli alcolici da rissa imminente) si fa con indice e medio alzati e un veloce movimento dlal'alto verso il basso.

Leggenda vuole che i Francesi, imbestialiti dalla prodezza inglese con i lunghi archi durante la Guerra dei 100 Anni, usassero mozzar loro proprio indice e medio, dita fatali con ui scoccavano le temibili frecce. Così, per baldanzosa spavalderia, è rimasto mandare a quel paese (un pezzo qualunque di continente, porbabilmente) mostrando di avere ancora dita per ferire.

E discorrendo di guerre, gestacci e altri francesismi (e anche sotto la Union Jack ci si scusa con "pardon my French"), finiamo sul ricorrente "alter Schwede!" ("vecchio svedese!") che i crucchi pronunciano spesso. Il nostro human watching ci ha portato a dedurre che la curiosa espressione si associa alla sorpresa, sentimento che i crucchi di solito poco ostentano.

Stamattina non ho potuto fare a meno di rivolgermi alla Sibilla del III Millennio, e così Wikipedia mi ha svelato l'arcano. Anche qui c' entra la storia militare, ovvero alla fine della sanguinosa Guerra dei 30 Anni, l'elettore del Brandeburgo decise di recrutare gli abili svedesi come esercitatori per le sue truppe. Orbene, questo corpo di sergenti era designato come "vecchi Svedesi". Tant'è che un amico fidato qui si chiama, appunto, "vecchio svedese". Come questo sia finito ad essere un'espressione di sorpresa, non me lo spiego.

Forse la maestria scandinava era tale da destar stupore persino nei granitic teutoni? Del resto, usi a non sprecar troppe parole, spesso pronunciano un solo, lapidario "Alter!" e lì si fermano (conferma ne siano i commenti alle foto postate online, dove alcuni amici teutoni più di queste 5 lettere non osano digitare). Al massimo, la combinazione preferita prosegue con "krass!", che sempre secondo l'oracolo wikipediano deriverebbe da "Crassus" o dal nostro "crasso". Arenandomi di fronte alla mia crassa ignoranza in materia di classici, posso solo constatare che "krass" quassù è un puro e semplice superlativo, che in sè non ha valore nè negativo, nè positivo.
Sta ad una minuziosa indagine del poco espressivo viso crucco capire se "vecchio svedese, che roba!" sia l'equivalente di "ah, minchia, che storia!" oppure "ah, cazzo, che brutta roba!".

Krass, oder?

venerdì 20 luglio 2012

Del (non) flirt crucco

Libera traduzione di un articolo francese con cui mi trovo quasi completamente d’accordo, pur invertendo le parti in gioco. Del resto, con autoironia ed ironia, chi mi conosce sa che, in fondo, ai crucchi non voglio certo male.


Un rapporto ambiguo tra femminilità e sessualità, le donne si guardano confuse e creano una reazione neutra nel sesso opposto: le tedesche non sono conosciute per essere granchè brave nel flirt, perché non lo prendono certo alla leggera. (…)

Gli uomini tedeschi non tendono a rinviare alle loro donne l’immagine della loro femminilità. Del resto, credo che le donne tedesche ancora non abbiano capito il gusto di sentirsi donne”, mi confida Sofia, un’ amica di Stoccarda.

A dire il vero, mi sembra sia piuttosto la società tedesca nel suo complesso a sentirsi a disagio con l’argomento. Ci saranno delle ragioni storiche e sociali per questo? Per cercare di capirlo, ne parlo con Jens Jessen, letterato, umanista, osservatore dei suoi tempi e dei suoi contemporanei, che ama le donne e la Francia. E’ caporedattore culturale al settimanale Die Zeit. Jens, perché i giochi d’amore sono così difficili in Germania?

Protestantesimo e borghesia

“Direi per più di un motivo. Innanzitutto per il carattere profondamente borghese della società tedesca (la Bürgerlichkeit). I vari principati che formavano il Sacro Impero Germanico non sono mai assurti a modello per la popolazione. Diversamente dalla Francia, dove i modelli di corte si imponevano anche nelle province più remote come il canone per eccellenza, qui non è stato così. Il borghese tedesco, probo lavoratore, fa a meno delle influenze aristocratiche e dei suoi costumi già dal XVIII secolo.

Secondo, l’influenza del protestantesimo (che si percepisce anche nelle regioni cattoliche, per quanto non lo ammettano). Il protestantesimo, religione tutta volta all’interiorità, predica un’ etica dell’autenticità. In quest’ottica, solo i sentimenti veri sono rispettabili e rispettati, mentre tutto ciò che è gioco, simulazione e dissimulazione è passibile di condanna.

Poi, il femminismo, che in qualche modo è connesso ai due motivi precedenti. La nozione di eguaglianza fra i sessi si rifà idealmente ai valori borghesi e all’etica protestante. (…)

Infine, molto importante quanto misconosciuto, ciò che ruota intorno all’arte della conversazione. Prima, tutto era semplice. Con le classi sociali compartimentate, si parlava solo con persone del proprio milieu, senza alcuna frequentazione con le altre. D’improvviso, a partire dal 1933, queste categorie sono andate in frantumi e le diverse classi si sono ritrovate in contatto. Si può dire sia l’aspetto socialista del nazionalsocialismo, e sino ad allora in Germania il grande borghese non aveva imparato a conversare con il piccolo borghese. Anche oggi la Germania cerca un linguaggio comune a tutti gli strati sociali. Per quanto il Paese si senta (e sia, nei fatti) profondamente democratico, resta per certi aspetti tutt’altro che democratico. C’è ancora parecchia strada da fare. In Francia, una cassiera e un finanziere non si porrebbero problemi a flirtare insieme. Non va così in Germania.



Due materassi

(…) Il pragmatismo si riscontra nelle situazioni più inaspettate, addirittura le più inopportune. Arriva finalmente il giorno in cui il flirt va a buon fine. I preliminari con la vostra bella sono archiviati, ed ecco che “aspetta”. Cosa c’è, ti ho fatto male? Chiedete inquieti, preoccupati. Prospettate il peggio, un’allergia alle fragole, una crisi d’asma, e siete pronti al bocca a bacco salvifico. “Devo lavarmi i denti”, risponde l’amata.

(…) E parliamo del Besucherrtize. Questo nome così delicato, poetico indica lo spazio che separa i due materassi del letto matrimoniale. Due materassi? Sì, avete capito bene. Uomo e donna hanno bisogni differenti quanto a qualità e durezza del materasso, a ciascuno il suo. Così un materasso per ognuno assicura un sonno ristoratore ad entrambi(…).  Le giovani generazioni sembrano più elastiche e optano sovente per un unico materasso, che ci chiama “letto francese”. Appreziamo l’omaggio.

Ma, diciamocelo, davvero la donna tedesca è estranea al concetto di seduzione ? (…). Magari il problema sta nell’uomo.

Siamo chiari: che siano tedesche, francesi o italiane, tutte le donne lamentano la mancanza d’iniziativa dell’ uomo tedesco, l’ assenza di uno sguardo “mascolino”: flirtano goffamente e in maniera assolutamente prevedibile. Una francese che abita a Berlino ha recentemente dichiarato di sentirsi trasparente, e cominciava a farsi dubbi sul suo sex appeal, salvo poi rassicurarsi una volta tornata in Francia.

Se un tedesco ti invita a guardare una partita di calcio in tv, la guarda davvero” si lamenta un’amica di Monaco- “ il problema è che se flirti con un tedesco, crede subito che si tratti di una cosa seria”.

Il flirt qui è diretto e ha uno scopo. Come far capire ai tedeschi che la seduzione è innanzitutto uno status mentale? Ecco gli scempi compiuti dal giovane Werther, un dandy in calze di seta che ossessiona ancora il subconscio tedesco: il romanticismo è il peggior nemico dell’amore.

Controllo vs laissez faire

« Credo che un tedesco, per flirtare, abbia bisogno di non sentirsi a rischio di ridicolizzarsi «  mi spiega Uli, un vecchio amico. “Gli serve un obiettivo concreto, e un’uscita di emergenza sempre a portata di mano, sin da subito”. Dubito sia quanto le donne si aspettano.

Uli continua “ flirtare significa perdere, eventualmente, il controllo della situazione. Noi, invece, siamo sempre in controllo. Ammiriamo i francesi per il loro laissez-faire. Ci piace, standone lontani. Il flirt, la seduzione, hanno qualcosa di sovversivo, che in fondo ci spaventa. Siamo piuttosto codardi. Amiamo l’ordine e abbiamo una gran paura del disordine”.

Insomma, ce n’è di strada da fare. Conosco delle donne che si spazientiscono di fronte all’inerzia maschile. “Steffi, devo scrivere un articolo sulle donne tedesche, ai francesi interessa e …”

Digli di invaderci!”

giovedì 19 luglio 2012

Saggezza popolare

La pioggia qui non è torrenziale: è apocalittica.
Per rinfrancare un po' l'umore provato dai continui, violenti attacchi d'ira di Giove-che-più-pluvio-non-si-può (e che, puntualmente, sono sincronizzati con le mie sortite sulle due ruote), mi dò alla saggezza popolare.

Una cara collega, assistendo all'ennesima sceneggiata del Capo Supremo dell'ufficio, mi ha scritto un messaggio consolatorio: "Miriam, tutto ha una fine, solo il wurstel ne ha 2" ("alles hat ein Ende, nur das Wurst hat zwei").
Come condensare in 9 lemmi una cultura, un popolo, un'essenza. Il solo infinito, per i crucchi, sta nel loro capolavoro culinario, nel salsicciotto come Giano bifronte, come palindromo sollazzo del palato, come simmetrico, sempre uguale a se stesso, rassicurante, sfrigolante maiale in forma modular-tubolare.
Provo a pensare allo stesso modo di dire in forma di spaghetti, eppure sarà la loro natura affusolata, la loro tendenza a deformarsi col calore e ad arricciarsi in forme poco canoniche, ma non mi suona.

Del resto, "la prova per il budino viene quando lo si mangia" ("der Beweis des Puddings ist im Essen"), e forse solo quando mi convertirò all' infinita pragmaticità del Wurstel comprenderò lo spirito teutone.
Sempre restando in ambiti limitrofi al commestibile, mi sembra non faccia una piega che in Germania non siano gli asini a volare, bensì i maiali ("wenn Schweine fliegen").
Così come il fatto che per disentegrare l'amor proprio di un avversario ne si insulti la madre, che qui "succhia maiali" ("deine Mutter säugt Schweine").

Nonostante cerchino in tutti i modi di trovare una regola per essere creativi (ci deve pur essere uno schema per esser fuori dagli schemi, no?), i cari crucchi, che ormai, si sa, ho imparato ad apprezzare, sanno bene che "un' ascia in casa a togliere il carpentiere di torno"("Die Axt im Haus erspart den Zimmermann"): se non vuoi che il disordine, l'improvvisazione e la spontaneità crescano come erbacce nel tuo orticello, conviene avere sempre una batteria di battute e proverbi di scorta come deterrente.


venerdì 13 luglio 2012

Teutoniche Epifanie

I tedeschi, si sa, sono flessibili come barre di acciaio inox. Il prode guerriero germanico, temprato dalla caccia e dalle nevi, che prima o poi si fa un sol boccone del lascivo romano sdraiato sul triclinio al sole.

L´aneddoto classico non puó che essere biruote. L´altro giorno, pioggia battente da film gotico-vampiresco, oso attraversare in bici col rosso. Non un veicolo all´orizzonze, metri e metri di grigiore, l´asfalto che si confonde con il cielo, in una sulfurea orgia di pioggia e smog. A mia discolpa: volevo evitare di bagnarmi perfino l´anima, perché va bene che si nasconde in ctonie, imperscrutabili profonditá, ma quando il cielo decide di mollare ogni ormeggio, anche lei ansima alla ricerca di terra asciutta.

La ruota anteriore non fa in tempo a valicare il confine tra lo spazio assegnatomi dalla luce rossa del semaforo per biruote, che subito una voce tuona, proprio a cercare quell´animella mediterranea, tutt´intenta a scappare dalla furia meteorologica e a invocare che le si conceda pietá, in fondo é metá luglio.

Mi giro, pensando di trovarmi di fronte a qualche biblica apparizione. La Giustizia, stavolta, ha deciso di palesarsi nella meste vesti di un anonimo quarantenne, felpone e jeans da lavoro, caschetto alla Goerge Best color evidenziatore TrattoMarker completamente fradicio. Al suo cospetto, ogni mia facoltá di interazione con la lingua germanica si  annulla. Scruto le sue sembianze cosí innocue, paventando l´arrivo di qualche apocalittico giustiziere alato.

Ma coi prosaici tempi che corrono, é piú facile imbattersi nella Giustizia col fascino della divisa

Fine di una giornata lavorativa estenuante, di quelle che ti lasciano in corpo solo l´energia sufficiente per maledirle. Arranco sulle prime pedalate e mi metto il ceullare all´orecchio. Sono nel viottolo davanti all´ufficio, oltre a qualche sparuto passante, ci sono solo gli orsi-mascotte del parco, ormai stufi si mettersi in posa per i giapponesi di turno. Mentre mi avvio stracca, ecco i due soldati a guardia dell´ambasciata turca che, a dispetto della rotonditá ventrali,  si producono in placcaggio degno dei migliori rugbisti .

Mi avranno infilato un kalashnikov nello zainetto da Giovane Marmotta e non me ne sono accorta, Ocalan é evaso e dopo un´operazione chirurgica ha deciso di assomigliarmi.
No.
Parlo al telefono. E pedalo.. I due emissari divini sfoggiano, ovviamente, armi d´ordinanza. Cado dalla bici e con un profluvio di francesismi ci rimonto. Stavolta mi sembra che la Gisutizia abbia davvero esagerato: mentre fuggo a pedali levati, rrtrovo la favella crucca e urlo: "mi avete rotto voi tedeschi, possibile che non si possano mai fare due cose insieme? Nel mio Paese pedalare e telefonare non é reato". Per fortuna i due appuntati devono aver ricevuto troppi kebab come mazzette, e decidono di ignorarmi per tornare a difendere l´amabasciata.

A completare la triade dell´Epifania dello Spirito Teutone, il mio coinquilino: il brandeburghese, il monolitico, l´inscalfibile D. E´in ferie e, poiché é un crucco della versione sedentaria, non di quelli sandalo-calzino bianco-protezione solare 50, rimane a casa in ciabatte e tuta da jogging in acetato. Alle 8.22 mi titilla il cellulare. Tutta ringalluzzita, mi aspetto un mattutino sonetto amoroso.

E´D., e questo significa una sola cosa: ménage domestico.

"Miriam, cosa é successo´? La cucina sembra un campo di battaglia, c´é joghurt ovunque". La prima reazione é incredulitá pura: un virtuoso uso della metafora, che la germanitá doc di D. si stia rammollendo a furia di convivenza?

Poi é cominciato l´esame di coscienza. Eh sí, in effetti nella fretta mattutina, quel fellone dello joghurt ha fatto un triplo salto carpiato con avvitamento e si é schiantato al suolo. In tremendo ritardo, con la morte nel cuore per lo spreco dell´unico alimento mattutino che avevo a disposizione, ho pulito alla bell´´e meglio, sperando di rimediare al fattaccio al  mio rientro.

Ma D. non se l´é presa. Il suo é arrovellamento dela sinapsi, incredula incomprensione della dinamica dei fatti. Non puó capire come sia possibile, come il mio nervoso di questi giorni possa tramutarsi in mancato controllo della sequenza impulso neuronale / movimento delle braccia. Quando torno, non una goccia dello joghurt é stata rimossa, come su una scena del delitto, D. mi mostra l´ampio raggio raggiunto dal liquido schiantatosi. Lo fa senza un minimo di rancora, é proprio perplesso. Credo abbia googlato "balistica dello joghurt" per capire che arco di caduta lo scatolino abbia avuto, per ricostruire le fasi del volo e il tragico momento dello schianto al suolo.

Ovviamente, avrei potuto lasciare lo joghurt a fermentare per giorni, e D. ci avrebbe zompettato intorno pur di non violare il diritto all´esistenza dello joghurt, che come si sa é prevista dallo Statuto per i Diritti e Doveri dei Prodotti Caseari.

Ed é lo stesso coinquilino che, messo a disagio dal repentino esplodere del mio malumore, mi guarda con aria da animale braccato e mi chiede "vuoi una birra?"

Ah, pragmatismo teutone, ah spirito d´inossidabile acciaio fedele nei secoli, ah anime probe che non infrangerebbero mai la Legge del Semaforo pur di risparmiarsi il diluvio universale. Per la rottura dei tubi della lavatrice c´é il manuale, giá la rottura dello joghurt gli ha causato qualche grattacapo.

Lo sfaldamento dei miei nervi esula dalla sua capacitá di raziocinio, e non puó che propormi, estremo atto d´amicizia, di mettere la parola "fine" scritta con soli luppolo, acqua e orzo, per non violare la legge della purezza.

domenica 8 luglio 2012

Avvistamenti notturni

Dopo dieci anni di fedele ed indefesso servizio, il mio cellulare Nokia si è spento per sempre. Non una fotocamera incorporata, non un gioco installato nè una memory card ne hanno pianto l' addio. Tragico sintomo del Tempo che incalza. Ho così ereditato un cellulare di altra generazione da una collega del lavoro, passaggio di mano indolore, ma soprattutto gratuito.

E questo nuovo compagno di tasca è dotato di fotocamerina. Per cominciare ad abituarmi all' idea, ho immortalato qualche avvistamento interessante, colto nel peregrinare di ieri tra una birra con un amico americano di passaggio e l' alba fatta con nonchalance a casa di un'amica dopo troppo risotto, tiramisu e Negroni.

Al Rewe fuori casa vendono queste peculiari angurie, forse particolarmente indicate per chi ha desiderio di metter su famiglia. Dle resto, a Berlino, specie in quartieri come Prenzlauerberg, buttando un occhio si nota come le politiche già prussiane di incentivazione alla famiglia funzionino: trentenni che spingono almeno un passeggino, studi dentistici attrezzati per soli bambini, e soprattutto biciclette con porta-pargolo laterale, posteriore, anteriore, zaini porta-pargolo, tricicli di solo legno massello.



E nella nutrita galleria "nomi pseudoitaliani dati a casaccio".


Ad onor del vero questa foto è d'archivio, la mia era troppo sfocata per rendere onore alla marca del té, che pare sia di quelle di lusso, per veri intenditori.


Per questo scatto mi sono appostata verso le 5 di mattina, alla fine della maratona donnesca di ieri, altrimenti il proprietario o qualcuno del suo clan famigliare mi ha sempre inibito col turco cipiglio.


E' una bottega gastronomica "mediterranea", che vende ibridi turco-egizio-maghrebin-greco-italici, il classico "Suedlaendische Feinkost" berlinese, ovvero le leccornie "meridionali" che spaziano, appunto, in tutto il bacino mediterraneo. Non so se i non orobici possano cogliere la sinistra non mediterraneità del nome: "potissimum" mi avrebbe fatto più pensare ad un punto-polenta e osei.

E per chiudere in bellezza: un uomo soddisfatto della sua giornata che medita a Frankfurter Tor (previo accertamento che respirasse ancora)

e una fugace vista dalla mia sella mentre il sole si stiracchiava per svegliarsi, e ovviamente per beffarmi: splendente dalle 5 alle 9, giusto quando avrei desiderato l'oscurità più completa, per poi scemare nel solito,puntuale acquazzone pomeridiano che mi ha rovinato l'acconciatura.


giovedì 5 luglio 2012

Di attivitá in prossimitá del sonno e andate alla sedia



Immaginate il commento che toni funerei ha preso quando l´Italia ha fatto l´impensabile. E subito dopo, ci è volata della birra addosso. Cercavamo disperatamente altri azzurri, e quando finalmente ce ne capita uno, gli urliamo di unirsi a noi. E questo “wie bitte?” “ah, io sono di Suditrolo, ma sono pienamente italiano”.
No comment.
Al ritorno ho dribblato facce torve ch imprecavano contro gli scheiße-Spaghettifresser (merda di mangia spaghetti) e qualcuno ha tentato di dare fuoco alla mia collanina verde-bianco-rossa, ma poi in ufficio è stato il tripudio: avevo ancora sottopelle le bandierine disegnate con make up da quattro soldi, rimediato a fatica.
Ma di blog che parlano diffusamente dell´incattivito tifo crucco ce ne sono fin troppi.

Preferisco zompettare alla pseudolinguistica, che ogni volta mi dá sapide soddisfazioni.

Eh sí, perchéil mio vocabolario si è arricchito di due preziosissimi lemmi

-          Beischlaf: ci sono incappata leggendo dell´ormai leggendaria impresa di due turisti all´ombra di Dante, a Firenze. La parola è abbastanza antiquata, corrisponderebbe al nostro “atto sessuale”. Ma la sua bellezza intrinseca è che, alla lettera, significa “ció che si fa vicino al sonno”, come un´attivitá in prossimità (sia di luogo che, spesso, di tempo) a quella del dormire.

-          Stuhlgang: questa, invece, è frutto del mio perenne ad-watching quando mi capita di prendere i mezzi. Quando i passeggeri non riservano piú sorprese, indugio volentieri su ogni cartellone pubblicitario, slogan e volantino. E cosí quando un poster mi cheideva perentorio se avessi problemi “andando alla sedia”, ho scoperto come dovrei rivolgermi a  farmacista qualora avessi bisogno di un lassativo.

Come sempre poco pungenti, ´sti teutoni: anche nell´insultare l´italica razza non trovano molto meglio del solito corredo di pizze e ometti baffuti sotto l´1,80. In un altro capitolo mi piacerebbe descrivere la mia lezione di italianità tenuta ad un compleanno: i gesti italici.

Ma la lista dei to do´s incombe.