venerdì 25 novembre 2011

A fil di penna

Anatra o anitra? secondo wikipedia, la forma corretta é con la A, l´altra é latino. Fatto sta che ieri me la sono pappata per la prima volta. Ed era anche la prima volta che il Giorno del Ringraziamento mi é servito come scusa per socialialitá e convivialitá.

Una collega mezza svedese e mezza russa (sí, cari ometti, immaginatevi il risultato! ed ha anche i capelli del colore piú bello che abbia mai visto, tipo rosso mogano autunnale, non saprei come descriverlo) ha invitato me ed altre colleghe (di uomini ce ne sono pochi, e per ora si registra solo un non gay) intorno ad una grassa grossa anatra. Che non é una papera, a quanto pare. E quindi mi ritrovo a pensare: anatra, oca, papera. La papera cos´ é? non riesco a classificarla. Un ibrido? il nome popolare di uno degli altri due pennuti? O solo la simpatica cosina gialla che galleggia nella vasca? Piero Angela, mi manchi. E mi manca Dánilo Mainardi (accento sulla A) che disegna pennuti in pochi secondi. Eh.

Bah. Il problema é che non dovrei bere vino, e lo so. Per cui adesso ho stormi di pennuti non solo in corpo, ma anche in testa, che mi becchettano le sinapsi e fanno strage dei residui neuronali. E inoltre, attenzione! La maledizione e il karma. Poiché ho mangiato dell´anatra...cosa mi sono  trovata stamattina, al momento di far la doccia?

Penserete all´Anitra WC. E invece no. In Crucchia hanno un´anatra per ...l´igiene orale.


Non finiranno mai di stupirmi. Nel torpore mattutino, con il metabolismo rallentato dai dannati solfiti, ho letto attentamente l´etichetta. "igiene del cavo orale che arriva dove lo spazzolino non riesce, per un alito sempre fresco e nessun batterio". Potrebbe finire nella lista di "cose che ti accorgerai di volere".
Adesso ho una serie di giornalisti da agguantare, di solito li prendo per sfinimento, dopo una gragnola di telefonate ad assistenti, segretarie, donen delle pulizie con cui parlo tramite google translate, prima o poi li rintraccio. Attacco con il mio jingle pubblicitario e voilá. Una cosuccia, peró.

Nello stagno cerebrale mi vortica una riflessione, di quelle che uno vuole condividere col mondo, per utilitá et originalitá. I crucchi epr chiedere se va tutto bene, un "oh, bella raga, come butta", chiedono
"Alles in Ordnung?" oppure "Alles klar?"

che sono, letteralmente, "tutto in ordine" e "tutto chiaro". Non fa una piega.

Ora, peró, vado a rifornirmi di acqua per sciacquare i pennuti del cervello.

domenica 20 novembre 2011

melting pot(a)

Reduce dal tempio sikh. Decisamente uno spaccato di vita berlinese. L'edificio è anonimo, solo un lungo palo (ma regolamentato dall'immancabile legge teutonica, quindi non alto quanto l'indian disio vorrebbe) con in cima una spada, simbolo dei sikh, i guerrieri indù che fecero per l'India quanto Carlo Martello fece per noialtri, segnala che il cubo di cemento è un luogo di culto.
Una sala spartana, tappeti per terra e uomini inturbantati che servono cibo fino allo svenimento. Anche il cibo è povero, ma un capolavoro per le mie papille: cubetti di formaggio indiano in una salsa lievemente speziata, pane appena sfornato, salse varie e infine, il delizioso kyr, sorta di latte e riso con cannella. L'unica cosa richiesta è un velo sul capo, uomini e donne, e un "grazie" quando viene scodellato il cibo.

Con me ci sono, in ordine sparso: due estoni (le prime che abbia mai conosciuto), un cino-americano, un indiano, un guatemalteco (il primo che abbia mai conosciuto), una tedesca, un'ucraina. Per tentar di digerire, arraffiamo una birra dal primo benzinaio che incontriamo, poi ci piazziamo su una panchina a caso. Si incrociano spagnolo, inglese, tedesco, russo. E' il solito small talking, certo, però riscalda un po' nel pomeriggio freddo, che sembra sempre notte.

Accompagno per un pezzo Ron il guatemalteco, che da 2 anni viaggia per l'Europa, seguendo gli ostelli che gli offrono un minimo di lavoro. Così devo chiedermi perchè ho scelto Berlino, e soprattutto rispondermi. Per tanti e nessun motivo, una miscela di tanti piccoli dettagli che me la fanno amare. E' sporca, è poco chic, è caotica, eppure è anche verde, solidale, cosmopolita, è alla mano. Ho smesso di cercare una ragione specifica, non so se è una cosa saggia o meno. Per ora mi permette di camminare conle mie gambe, eventualmente imboccando anche strade a fondo chiuso, ma mi fa respira un'aria nuova, dinamismo, cambiamento fra le dita. Mancano le persone, le abitudini, piccole certezze, ma in cambio si ha una rigenerante sensazione di "possibile". Forse è questo, mi sembra di potere. Cosa, non lo so esattamente, ma posso.

Ora variazioni sul tema Kartoffel bollono in pentola, anche se io bypasserò, sorseggiando caffè annacquato e concentrandomi sulla digestione.

Birra, burro & bread ‘n roll, ovvero: cronache da un weekend ancora in corso.

Attenzione: post lungo e un poco sconnesso. Ma è domenica, se santificate le feste non dovreste lavorare, per cui magari un po’ di tempo da buttare l’avete.
Venerdì sera ho deciso di por fine al caos primordiale del mio WG: con perentorio arbitrio divino, ho rivoltato ogni stanza (salvo quelle da letto di J. e N.) implacabile sterminatrice di polvere, briciole e microbi vari. Mi sentivo lo sponsor di una ditta di detersivi, una di quelle massaie ruggenti che poi si mettono in tacchi a spillo e tailleur e accarezzano i mobili sospirando di soddisfazione. Anche se, in realtà, mi sono messa in pigiama e issata sul divano, waffel al cioccolato e the alla mano, pronta ad una serata casalinga e nonnesca. Sono poi sopraggiunti i coinquilini e si è virati verso una domesticità più spumeggiante: dalle riserve di casa è spuntato dell’assenzio, scrupolosamente servito con zucchero e fiammella, e abbiamo guardato un film davvero demenziale. Auf deutsch, mit deutschen Untertiteln.
Mentre io mi fondevo con la poltrona, giustamente ai due stomaci crucchi è venuta fame, anche perché avranno cenato alle 17.00 suppergiù. Per cui cosa c’è di meglio per un languorino di una bella crema di broccoli? Spadellamenti della mezzanotte e addio profumo di igiene, con buona pace del mio lato da massaia mediterranea. Poi nanna e via.
Verso un sabato ancora più crucco.
Mi sveglio quando i miei neuroni decidono di esser pronti per la giornata. Uno sguardo malinconico alla pulizia che scema lentamente, ma inesorabilmente, e mi avvio. La missione del giorno: trovare una giacca che mi garantisca la sopravvivenza all’inverno di queste latitudini. Muesli e joghurt e via, direzione Alexanderplatz, cuore pulsante del consumismo, già agghindato per Natale. Per strada, uno stand di Lindt ammicca voluttuoso e non posso fare a meno di munirmi di tavoletta “edizione natalizia”: latte e cannella. Ora, ci vorrebbe una digressione sul tema “cioccolato”, ma per ora vi basti sapere che sono ovunque, in ogni gusto, e meno cari che da noi. E ho imparato a dir raramente di no.
Nel negozio scruto e tasto ogni giacca, aggiornando la classifica mentale e pervenendo ad una top 3. Nel frattempo, cerco di immaginare che taglia ho qui in Crucchia. E, maraviglia suprema! Il conto scala scala e sono una splendida 38-40! Grazie salsiccialand, tu sì che gratifichi il mio ego. Solo che per capirlo, mi sono rassegnata a scegliere la prima sciura di turno, sui 60 anni, il mio target preferito.
Mi acquatto fra una gonna ed un pantalone, quando la preda designata si aggira ignara del pericolo, in un balzo son da lei, sorriso da pubblicità e “Scusi signora, una domanda stupida: ma secondo lei, che taglia ho?” Il pragmatismo teutonico emette sentenza, poi inquisisce sulla mia nazionalità. “OH, italiana! Allora magari può aiutarmi nella scelta!”. Grazie di nuovo, Wurstiland, qui sono una taglia da modella, un Vissani ai fornelli e persino un consulente di moda. La signora mi mostra una gonna viola, marrone e gialla, delle calze verdi e un paio di scarpe nere. Tronfia della mia proverbiale affinità con il trend, prelevo delle calze marroni e le intimo di scegliere delle scarpe che richiamino le tinte della gonna. Soddisfatta, la signora se ne va, ripromettendosi di seguire i miei saggi consigli. Scommetto che fra sé avrà mugugnato: “Cosa diceva la ragazza? Ah sì, calze a pois e stivali arancioni”.
Sono uscita solo con un pacco-scorta di calzini pesanti e, vizio mai sopito, dei pacchianissimi orecchini sgargianti a 2 euro. Per strada addento un brezel caldo, 80 centesimi per un’opera d’arte di panetteria, la chicca che qui non t’aspetti. Fragrante, profumato, salato quanto basta per farti venire voglia di una birretta. Ed ogni desiderio, oggi che mi sento meritevole, è un ordine. Ho perfino lasciato la bici a casa, mi infilo in metro e il Cielo mi mostra chiaramente il suo favore odierno: un signore mi regala il suo biglietto, valido ancora per un’ora. Frankfurter Tor, meta: il più grande negozio Humana della città.
E l’Humana è un condensato di crucchità. Raccoglie vestiti, scarpe, mobili e casalinghi usati senza pagar nulla a chi li lascia, e poi il ricavato (o gran parte) se ne va in beneficienza. I quattro piani sono in piena Berlino Est, con strade larghe una città e gli edifici cupi, cubici, che quasi vien voglia di cercare le cupole del Cremlino all’orizzonte. I quattro piani dell’Humana sono il paradiso di chi ha gli stessi gusti della signora di cui sopra. Me compresa. Il primo piano è muliebre: file sterminate di gonne fino a taglie giulianferraresche, pantaloni, camicie, camicette ordinate rigorosamente dal bianco candido al nero corvino, passando per arancione catarifrangente, azzurro puffo e verde elettrico. O meglio, un mix di tutti questi colori.
Ci sono i camerini, ma molte donne, levate le scarpe, provano un po’ dove capita, così mi adatto subito e comincio a indossare una giacca dopo l’altra, alla ricerca della compagna di pedalamenti per i lunghi mesi a venire. Nessuno, ahi lasso, mi chiede consulenze di stile, ma per contro mi perdo in abiti anni ’80 e una collezione di abiti da sposa usati, soffermandomi anche su sciarpe di finto pelo, paraorecchie leopardati e coprispalla con cappuccio peloso incorporato. Alla fine esco senza nulla, ma sempre aggiornando il mio rating di rapporto qualità/prezzo, decisa, settimana prossima, a giungere ad una decisione inequivocabile.
Intanto il Lindt alla cannella addolcisce il freddo. Uno sguardo all’orologio perché fuori è buio pesto, ma non sono ancora le quattro. Tappa a casa. Poi ho appuntamento con L. & F., due amici italiani in visita. Ci dirigiamo verso Max & Moritz, trattoria tipica, zona di Kreuzberg. Altro capitolo meritevole di lunghe righe, il quartiere turco dove femministe punk, artisti hipster e musulmani velati coabitano in mosaico arlecchiniano e impareggiabile. Ci basta una portata per esser pieni, io opto per i Maultauschen e nel frattempo mi dò allo human-watching. Vicino a noi una tavolata di una ventina di esemplari di puro crucco, uomini con apertura alare oltre i due metri, coetanee di mammà che sfoggiano con nonchalance permanente  e rossetto abbinati a kiwai e sandaletto estivo.
Poi è la volta di attrezzarsi per la serata. R., collega potenzialmente testimonial della Hitler Jugend, se non fosse gayissimo, ha invitato me ed altre colleghe a casa del suo ragazzo, per un “pre-serata” che dovrebbe poi culimare in un gay party in un club nell’estremo est della città. A casa ho trafugato qualche Sterni, birra economica per eccellenza,  6 politico e simbolo della città. Alle 21.15 ho appuntamento con O., irlandese dle mio ufficio, accento inequivocabilmente di Dublino periferia ed un cognome assolutamente impronunciabile. Il luogo d’appuntamento è il Weltzeituhr, orologio in Alexanderplatz che segna tutti i fusi orari. Chi bazzica lì, aspetta per forza qualcuno. C’è la bionda scocciata dal ritardo, presumibilmente, del suo cavaliere, capannelli di giovani sudamericani in abiti da rapper, turisti infreddoliti. O., ovviamente, è in ritardo. Arriva stacchettando con una borsa piena di quelli che ritiene essere “gay drinks”, cioè prosecco alla pesca e altre bottiglie color pastello che tintinnano pericolosamente ad ogni suo passo. Non sa l'indirizzo, non ha idea di quale sia la fermata, e si affida ciecamente al mio senso dell’orientamento. Del resto, se Colombo ha trovato l’America, io troverò Pettenkorferstrasse in Berlino Est, no?
Camminiamo un’ora. Incrociamo una coppia ottuagenaria che alla domanda “scusate,sapete dov’è Pettenkorferstrasse’” ci risponde con un laconico, granitico “sì”,  e un ragazzo che ci dice “ma è in Friedrichshain, qui siamo a Prenzlauerberg”. Attraversiamo il ponte e siamo nel quartiere giusto. Quando raggiungiamo il luogo della perdizione, la casa è già ben riscaldata. Ci sono solo ragazze e tanti, tantissimi gay. Mai visti così tanti, così patinati. Il ragazzo di R., ha un fisico statuario, lascerebbe a bocca aperta qualunque donzella, salvo il fatto che si presenta con una canottiera minimalista, ascelle e petto glabri al vento. E’ come guardare qualcosa di troppo levigato, fa quasi male agli occhi. O., sconsolata, capisce che tanto meticoloso belletto per stasera andrà sprecato, l'apertura della stagione di caccia è rimandata a data e luogo da destinarsi.
Apro la mia Sterni con l’accendino e mi sento un camionista bresciano, che sorseggia birra da pochi centesimi mentre gli altri, non un capello fuori posto, mescono le famose “gay drinks”. Caschetti con frangia, occhialoni giganti, jeans attillati. R. ha il biondo crine perfettamente gellato, una camicia di 4 taglie meno del dovuto e, soprattutto, molta paura che al trash gay party qualcuno gli sotragga la dolce metà. Così ci si dirige verso la discoteca designata. Di nuovo si cammina per un’eternità, fra le propaggini di quello che, complice l’oscurità, sembra un bosco.
E lì abbandono la compagnia, provata dalla girandola di stimoli visivi e consapevole del corso di italiano la domenica mattina. Attendo cronache inenarrabili da chi, stoico, è rimasto. Il programma prevedeva drag queens e  spogliarelli, e non so che altro.
Ma berliniamo a piccole dosi.
Stamattina niente corso di italiano. Il mio prode studente è malato. Così mi godo un’altra stilla di germanità. I genitori di J. sono qui per il weekend, dormono sul divano (con buona pace di mia mamma) e alle 9 c’è il Frühstück comune. Prosciutto, salsicce, marmellate, burro, muesli si affestellano sul tavolinetto (non abbiamo un vero e proprio tavolo), mentre mamma Ute (e qui il nome lo si deve proprio dire, è troppo germanofono per non darlo in pasto a Internet) trotterella per casa. Pomerana come il marito, mi chiedono quanto sole c’è in Italia, se la mattina mangio la pasta e si stupiscono al mio stomaco che, anche per merito delle Sterni notturne, si rifiuta di introdurre più che joghurt e muesli e, naturlich, ein “Espresso” che è, in realtà, una tazza di caffelatte. Papà Ulrich narra dela prima birra del figliuolo, a 7 anni, qual tenerezza e qual precocità. Inquisisco se mamma Ute cucina, ma la prole subito ribadisce che è meglio evitare i suoi fornelli: “cucina alla pomerana: grasso su grasso senza sapore”. E se lo dicono i mangiatori di crema di broccoli, non oso immaginare. Di solito grasso è buono: godimento delle papille e retrogusto di colpevolezza nei recessi della coscienza. Ma se è grasso e pure non buono, preferisco sventolare il mio tricolore e ritirarmi nelle mie stanze. Peraltro, qui mi pare che coesistano senza problemi due estremi, e cioè un giorno si mangia un quarto di maiale con lardo, patate, burro e birra (sarà un caso la quasi omofonia?), e un altro tofu al naturale con germogli di soia crudi.
E mo, dopo questo post interminabile, più per la mia memoria personale, mi attende un altro capitolo davvero berlinese, a modo suo. Alle due, direzione estremo nord, meta: tempio sikh. Ebbene sì, nel turbinio di eventi, mi sono dimenticata un dettaglio: la spesa settimanale. Il frigo piange, e un amico indiano assolutamente ateo mi ha invitato al tempio. Ogni domenica c’è un banchetto per chiunque passi di lì, cibo gratis per tutti. “cibo” e “gratis” è un binomio di irresistibile attrazione. Del resto, dovrei andarci con: un’artista femminista pakistana, una ceca appena giunta in città, uno scrittore mancato brasiliano e l’indiano più autostoppista del mondo.
Direi che non c’è miglior modo per coronare un weekend davvero peculiare. Buona Berlino, birra, burro, brezel, bisessualità, bio-cibo, biottame, biancor di gote, bancarelle di natale, bici, brunch, Bären,….un bo’ di tutto, insomma.
E buona domenica a voi, se qualcuno è arrivato fino alla fine. E tranquilli, io rimango pervicacemente me stessa, fattore K di banale mediocrità e tradizionalismo, pur gaudente in questo Misch-Masch di umanità. E' un po' come infilarsi in una gonna variopinta con stivali a righe e calze a pois, mettendo però sempre la maglietta della salute come mamma vuole.

martedì 15 novembre 2011

WG: Wivere in Germania


Vivo in un WG. Un WG è una Wohngemeinschaft, ossia una comunità abitativa.

Il crucco medio a 18 anni abbandona il nido domestico per passare ad un WG. Verosimilmente ci resterà per svariati anni, pur cambiando abbastanza spesso composizione (i coinquilini) ed ubicazione. Di solito il crucco non è più un Wegaro quando trova la dolce metà che, eventualmente, resterà tale a vita, oppure quando intasca abbastanza soldi per permettersi una casa tutta sua.
Ma alle volte, pur accasato e ben stipendiato, continuerà a subaffittare una camera, forse per la nostalgia della bella, ruggente età dell'oro giovanile.

C'è un Hauptmieter, cioè un locatario principale, di solito l'inquilino finanziariamente più solido. Poi ci sono gli Untermieter, come sono io qui, che pago la mia brava quota all'Hauptmieter. Il mio affitto è warm (caldo), ovvero comprende le bollette. Fosse kalt, dovrei computare ulteriori esborsi per ritardare la morte per assideramento.

Cercare un WG è sempre un'esperienza interessevole, ma sfibrante, che finora sono sempre riuscita a sfangare, grazie a passaparola tentacolari e una dotazione di natiche non indifferente.
Computer alla mano, si cerca un annuncio o lo si mette. La prima fase è tutta uno scartabellare le mail: dove abitare, con quante persone, uomini o donne, ammobiliato o meno, per quanto tempo. La concorrenza è feroce, almeno a Berlino: la città è un vortice umano in continua evoluzione, per uno che parte, dieci ne arrivano.
Poi c'è l'interview. Può essere a tu per tu coin i futuri, potenziali coinquilini, o di gruppo. Quella di gruppo (per sentito dire) la immagino parecchio provante. Gli astanti ben sanno di essere in lotta per accapparrarsi l'ambito WG, eppure come a Miss Italia devono dar mostra della loro simpatia, pena l'esser scartati per carenza di affabilità. Le domande che circolano sono da manuale: uno spruzzata di anagrafe più qualche retaggio di corso di lingua. I tuoi hobby, il tuo colore preferito, la tua vacanza ideale. Altre volte la scrematura dei candidati segue percorsi imperscrutabili, chiedendo saggi in cucina piuttosto che la recita di barzellette. O ancora, i futuri coinquilini devono essere vegani, gay, seguire la Bibbia. Alle volte tutte queste e cose insieme.

Del resto, sotto lo stesso tetto si dovrà vivere più o meno a lungo. A me è stato riservato il lusso di un'intervista a tu per tu, con tanto di caffé bollente (seppur annacquato) alla mano. Una domenica pomeriggio qualunque, J, J e N valutano la mia compatibilità con il loro microcosmo domestico. Io gioco con nonchalance, sorrisone a 32 denti e qualche battuta sulla mia italianità. Esame passato. Dopo una settimana, sono ufficialmente colei che sostituirà l'uscente J., 6 mesi in Australia: sono la Mitbewohnerin e ho 2 Mitbewohner.

Il contratto (che nel mio caso è solo orale) prevede sempre una cauzione, per fidelizzare il novello Wegaro alla sua nuova abitazione. La camera da letto è strettamente personale, quando la porta si chiude, il confine è invalicabile. Il resto è in comune: bagno, cucina, e se ci sono, balcone e salotto. La norma aurea della libertà che finisce dove  comincia quella altrui qui è tangibile: serve sincronizzarsi la mattina per l'uso del bagno, usare a rotazione lo stendino, prodigarsi per un minimo di cassa comune.
Noi abbiamo un barattolino di ex Gummibaerchen in cui ognuno mette il suo obolo, e una serie di post it sul frigo per segnalare quando le riserve di pasta, detersivo o carta igienica raggiungono la soglia di guardia.

Funziona piuttosto bene, ogni WG si olia man mano, e di norma i crucchi sono pragmatici e flessibili. Ieri, in cambio di una lasagna, J. ha revisionato da cima a fondo la mia bici (in prestito) un po' claudicante. Trovare un biglietto sulla pentola che annuncia che gli spagehtti palliderrimi e scotti sono dotazione della comunità è sempre toccante.
C'è chi stabilisce i turni di pulizia in maniera equivocabile, chi come noi fa alla bisogna.

Altra nota, esistono gli Zweck-WG. Per me restano solo un mito antropologicamente interessante. Sono quei WG dove avere lo stesso tetto sopra la testa non comporta nulla. Nessun vincolo umano, teoricamente, lega gli inquilini, ognuno fa da sé e la casa è un insieme di mura e assi che ripara dalle intemperie, luogo di ristoro e catarsi biologica e nulla più.

Le avventure di un italico in un WG sono sempre degne di una piccola caricatura, visto che al cosiddetto "Hotel Mama" noi tendiamo a restarci molto più a lungo, ignorando le sfide giornaliere che una lavatrice lunatica pone, o la desolazione da tundra del frigo vuoto la sera, quando si vorrebbe solo poter addentare la prima cosa edibile in circolazione. Inoltre, ogni WG ha delle sue regole non scritte, dei sincronismi che, se si inceppano, possono davvero rendere la vita grama.

Nelle prossime puntate, le prossime mie cavolate. Sperando di non averne molte, da raccontare.

sabato 12 novembre 2011

promiscuità da credenza e lo zampino del Trap

Quota zero gradi (altro che Indian summer), una mamma arrivata oggi che resta per il weekend.
Quindi tesoretto di ravioli e grana che dovrebbero placare il mio continuo gastronanismo.
Oggi è san Martino, e qui l'inizio del Carnevale. Questa non l'ho ben capita, che sia forse prima dell'Avvento? Sti figli di Lutero.

Ho le estremità dei miei nobili arti di un patriottico azzurro e il naso valentinianamente rosso.

Parliamo di J., mio beneamato coinquilino (davvero, a trovarne così). Sfiora i 2 metri, biondo d'ordinanza, sulla terraferma si muove solo in bici e in acqua solo in barca a vela. L'uomo factotum che ogni fanciulla tradizionalista sogna, cui dare in mano un cacciavite è come consegnare un pennello ad un raffaellista. (e il prodotto finale è anche, ahime, più utile). Premuroso quanto basta per fare incetta di cavolfiori biologici visto l'imbarazzo bassoventrale della sua ragazza, con buona pace mia che anche per colazione devo sopportarne l'aroma , sospirando alle prodezze d'amore altrui.

E J., naturlich, è crucco. Dopo 48h qui, mi ero già colonizzata l'angolino più basso della credenza in cucina, rivendicando il diritto a non fare step casalingo per potermi sfamare (visto il mobilio ad hoc tarato per gli oltre 185 cm). Orbene, puntuale, arriva il "Mirrrrriam" che, nonostante il tono di norma amichevole, grazie a quella particolare R suona sempre un po' intimidatorio. In un nanosecondo passo in rassegna le azioni della giornata, riesumando memorie sopite dalla prima confessione. Cosa avrò sbagliato nella sequenza camera-tappa bagno-cucina? Luce o qualche led lasciati accesi in sprezzo delle sofferenze del pianeta?

Ho messo via le patate insieme alle cipolle, mischiandole.
Nella stessa scatola. Insieme. Cipolle. Patate. Forse ho capito male, non ha dette "Zwiebeln" (cipolle), ma "Sieben" (7). E invece no. Si chiede perchè io abbia assegnato a due diversi oggetti la stessa nicchia.  Non è irritato, solo perplesso. Io non credo di avere una risposta. Poi tocca a me perplimermi. Dovrebbero pur essere avvezzi alla promiscuità a queste latitudini. Per qualche istante ci guardiamo, sorriso ebete speculare, sospesi in quella terra di nessuno che è il qui pro quo culturale.

Fortuna che non ci sono irridentismi irrisolti fra noi. Poi ci ha pensato l'inarrivabile Trap messo sul pc a risolvere tutto: no say the cat is in sac if you not have the cat in the sac. Lineare, senza sottointesi e ambiguità. Mica come mischiare patate e cipolle.

giovedì 10 novembre 2011

come le patate divennero le patate, con intermezzo calcistico

Colombo scoprì l'America. Colombo portò pomodori, patate, mais, cacao.
Lo so, sono cibocentrica. E a scanso di equivoci, ai crucchi, in fondo, mi ci sto affezionando. Si tratta solo di giocare a non essere politically correct. Lasciate, or dunque, ogni lagnanza o voi che entrate.

Ma immaginatevi noi Tomaten senza Tomaten, e i Mangiapatate senza Patate. Da sempre reputo il buon Cristoforo il mio unico santo, visto che oltre a darmi la passata di pomodoro, ha anche aperto la strada alla malia del cioccolato. Non oso immaginare come fosse insipida la vita prima del 1492. E qui, credetemi, i Lindt sono ovunque, in qualunque foggia, ammiccanti nelle loro carte sgargianti e a prezzi troppo accessibili perchè si riesca a dire di no.

Prostrata dal ritmo sempre in crescendo al lavoro, rimugino brandelli di conversazione che mi sono rimasti impressi.

"Colombo era davvero italiano. La prova è che ha scoperto l'America per caso, mirando a tutt'altro. E' la stessa cosa che fa la nazionale di calcio che poi finisce per vincere i Mondiali".
Questa l'interpetazione crucca, che rammento aver suscitato vespai di polemiche (in testa, appunto, il Vespa nazionale) agli ultimi mondiali, per supposto oltraggio alla nazione (questo il video incriminato).
Imbattersi in grandi cose per caso, io lo trovo poetico, i crucchi non lo capiscono. A volte mi pare che elaborino strategie accurate anche per le cose più semplici, vedi i marchingegni a corda molto diffusi per aprire le finestre dei bagni, che quasi sempre sono troppo in alto perchè un comune mortale possa arrivare alla maniglia. Chiedete di improvvisare, e li metterete spalle al muro.


L'altro dettaglio che mi frulla in testa, è l'astuzia di quel volpone di Federico il Grande, che con i suoi soldati sapeva veramente farne di ogni.
Così nel 1756, per incentivare i suoi contadini a buttarsi sulle Kartoffeln, ne escogitò una delle sue e mise i valorosi soldati prussiani a guardia di campi di patate di proprietà statale. Ordinò loro di batter la fiacca, pur facendo mostra della proverbiale intransigenza. Così i villici, incuriositi da tanta cura regia per un tubero così poco avvenente, che cresceva sottoterra (che fosse frutto del demonio?), cominciarono a trafugar le kartoffel. E da lì, la patata cominciò la sua ascesa a regina incontrastata della dieta tedesca (chi fra voi sta pensando allo spot con Rocco Siffredi si ritroverà l'hard disk infestato dai peggiori trojan possibili).

Non molto dopo, tale Parmentier, costretto a sopravvivere a patate nelle carceri degli impietosi prussiani, avrebbe convinto Sua Maestà di Francia (quando ancora aveva una testa attaccata al collo) dell'importanza della patata. Eh sì, perche Malthus si ergeva a Cassandra di turno, e un modo per sfamare i contadini buttati con noncuranza sui campi di battaglia, lo si doveva pur trovare. Et voilà, pur bruttarella, la patata ce l'aveva fatta, e da lezioso ornamento del capo di Antonietta, si trasformò nella garanzia di sopravvivenza per il popolino di mezza Europa.



Anche il pomodoro, suo coetaneo (e si ritorna a Cristoforo), all'inizio era vittima degli strali della Chiesa: pare accendesse disii poco nobili e, essendo di guarnizione ai cibi, era un lusso troppo carnale perchè i portavoce dello spirito ne prendessero le difese.

Ma qui sarebbe buonanima dr. Cannella a dover dire la sua. Io volevo solo concedermi una toccata e fuga sulla tastiera.E rendere omaggio alla bellezza intrinseca del caso, che a chi sa cogliere l'attimo riserva frutti quantomai inaspettati

Pomodori inaffidabili si sacrificano alla Legge della Purezza

Sono stata nella più grande birreria d'Europa. Ho ordinato "qualcosa di leggero" e mi sono vista recapitare sei wurster con una montagna di crauti.
Classico posto da turisti, con camerieri in bretelle e cameriere con almeno una quarta abbondante, gonfiata come i prezzi.
E allora dal bavarese si passa al prussiano, con una più sobria birreria.

E mentre la digestione mi consuma e la nebbia si accanisce contro la povera Torre della Televisione fuori casa mia, annoto un paio di cosucce che ho appreso oggi, grazie al sano et ariano M.di qualche post fa (che non so linkare).

- Pomodoro inaffidabile ("treulose Tomate"): espressione nata durante la I guerra mondiale per indicare noialtri italici voltagabbana e mangiatori di pummarola, che ancora oggi indica chiunque sia poco affidabile.

- Legge della purezza (Reinheitsgebot): normativa alimentare del 1560 che regolava...ebbene sì, la birra (solo acqua, orzo e luppolo). E  che ancora oggi tutte le bevande con scritto "Bier" in Crucchia rispettano. In effetti, la mia intolleranza ai conservanti qui se la spassa.
Peraltro, poichè conservanti in inglese è "preservatives", immaginatevi un'amica crucca che al supermercato a Palermo chiede "avete muesli senza preservativi?".

Dunque io, inaffidabilerrimo pomodoro cromaticamente camuffato e qui trapiantato, per mimetizzarmi ancora di più mi adopererò per vagliare quanto i tedeschi abbiano davvero in ossequio le leggi: testerò personalmente birra per birra in nome della Purezza.


mercoledì 9 novembre 2011

del Cavaliere disarcionato e altre italianitá

"Miriam, schau mal! Berlusconi tritt zurück!".
É stato il mio coinquilino a recarmi la lieta (?) novella.
Il cavaliere smonta da cavallo, anche se rimarrá pur sempre uno stallone. Non so cosa pensare, da un mese mi sento lontana anni luce dal mio bel Stivale, solo le persone e i sogni a sfondo gastronomico sono il mio filo d´Arianna per non perdermi del tutto.
Oggi pomeriggio dovrei fare un giro di telefonate per piazzare un articolo sul marchio CE, qualcosa che raffredderebbe i bollenti spiriti anche del sunnominato B. Ma credo che agenzie stampa e TV avranno altre gatte da pelare.
Stando qui tutto perviene ovattato, quasi guardo al nano con indulgenza, mi viene da dare una gomitata ad Angie e ridacchiare. Poi penso alla corsa selvaggia alle poltrone, a conrtosionismi partitici e ai funanboli dell´ultimo minuto, tutto sullo sfondo di quella dannata economia, universo a me sconosciuto, che non fa altro che precipitare.
E poi l´eterna domanda: perché votate Berlusconi? Vallo a spiegare alle compartimentate menti teutoniche. L´avranno pure inventato loro il romanticismo, ma qui sono tutti come iL Ritter Sport: gut, praktisch und QUADRATISCH.

Non lo so e credo esistano giá svariati trattati sociologici al riguardo. Il solito espediente dell´emigrato é l´alzata di spalle con pilatesca dichiarazione: "io non l´ho mai votato". 
E la reazione classica é: "non ho mai conosciuto nessun italiano che l´abbia votato". Sono timidi i prodi del Cavaliere o con gli stranieri comunicano solo i Non B.? 
Del resto, a me sembra che sulle nostre spiagge si arenino solo crucchi stereotipici: forse c´é una selezione preventiva, per cui biondame, calzino bianco abbinato a sandalo, predisposizione alla scottatura solare sono i requisiti.  

Intanto é arrivata la mia nuova vicina di scrivania. Mi ricorda una abat-jour stile liberty, sottilissima e rifulgente, visto che ha i capelli color evidenziatore. Ha passato la mattinata a pulire meticolosamente ogni anfratto del suo spazio di lavoro, lo schermo del pc, la tastiera, a srotolare il filo del telefono e a sistemare in ordine di grandezza post it e quaderni. Tiene pure un blog di moda e mi ha chiesto se conosco qualcuno che lavoro a Prada o a Fendi. Sono italiana, no?
Volevo risponderle di no, ma che se vuole conosco designer di lupare all´ultimo grido.
Poi la capa mi ha chiesto se conosco qualche ragazza interessata al baby-sitting dei figli, perché "sei italiana, avete sempre amici per tutto".

Questo é vero, sarö sempre una fan dei "contatti", di tutte quelle porte e porticine che non chiudo mai, lasciandole lí per ogni evenienza. Del resto preferisco di gran lunga le porte di servizio o i corridoi poco illuminati agli archi di trionfo smisurati.

martedì 8 novembre 2011

For bici: tagliuzzati pensieri serali o della bellezza della dieresi

Berlino & bici: connubbio quanto mai azzeccato. Economico, salutare, piacevole. Qualche numero confortante, visto che ultimamente le cifre sono solo finanziarie e inquietanti: 620 km di pista ciclabile per circa il 12% (ma sempre in crescita) del traffico totale che passa sulle due ruote senza motore.

E anche io ho la mia brava gazzella dell'asfalto. Per la verità è un prestito a tempo indeterminato, mentre ancora carezzo l'idea di far trasmigrare la mia beneamata biruote arcenese, che qui troverebbe la valle dell'Eden.

Freni a pedale: dopo lo svezzamento da freno a manubrio, giorni durante i quali il rischio di morte aumenta esponenzialmente, si comincia ad apprezzarli. Lasciano le mani libere: di agguantare un panino al volo, di scaldarsi per induzione cingendo un cappuccino d'asporto, di segnalare le curve (anche le kurwy, che sono soprattutto in centro), di rispondere all'onnitrillante cellulare.

Regole: altra nota inizialmente dolente. Le piste ciclabili qui sono su marciapiede, su strada, miste. Sempre dotate di efficiente semaforo apposito e affollate di pedalatori immancabilmente più veloci di me. Il vero dramma sono le curve, perchè tendo ad inchiodare, rischiando un effetto domino che, porbabilmente, non potrei più raccontare sul blog.
La tolleranza per le titubanze è pari all'affidabilità dei bond italiani: un pedone che osi camminare sul sentiero risrervato alle bici può tirare un sospiro di sollievo se lo si riporta sulla retta via solo a suon di scampanellata e rimbrotto annesso. 

Naturalmente mi sono munita di catarifrangente lampeggiante da zaino e di catene, per la quotidiana lotta alla ricerca di qualche centimetro di transenna libero per parcheggiare il mio mezzo e ritrovarlo intero. Devo ancora pensare al fanale anteriore, e per farlo ho bisogno di una Innensechskantschraube Bauer und Schaurte. Per gli amici, Imbus o brugola. Il corredo del provetto ciclista comprende anche un sacchetto di plastica per riparare la sella dalle intemperie, una pompa a mano e un telo antipioggia che coprirebbe tranquillamente anche Giuliano Ferrara.

E poi il cartello

Sottovalutando la crucialità delle dieresi, mi chiedevo perchè si incitasse al vandalismo, visto che "schaden" significa danneggiare. Mi aspettavo che qualcuno mi spiegasse che era una pratica diffusa nella DDR per sfogare rancori repressi, rimasta in uso per folklore e contro i burn out del nuovo millennio.

Solo dopo una serie di vertebre slittate fuori posto, tributo all'altare della dieresi, ho penetrato l'arcano significato. Schäden sono i danni. Noi mettiamo i puntini sulle i, qui con due giocano al piccolo chimico semantico.


A riprova di quanto sia bike-friendly la città: BBBike per calcolare i tempi di percorrenza, scegliere strade con o senza semaforo, calcolare gli angoli di curva.  A riprova dell'intrinseca, fatale, inenarrabile bellezza della dieresi: il bar Ä , ma soprattutto: se Rimbaud fosse stato crucco, come avrebbe scritto la sua Voyelles?


ä: è chiaramente una smorfia di incredulità scocciata, e appunto si direbbe "eh?"
ö: indubbiamente un "ooooooooooh" di orobica memoria, una bocca spalancata dalla sorpresa
ü: morbido sorriso, forse con una nota leziosa, quel "uhmmm" sottaciuto ad una proposta che tocca le nostre corde più nascoste.
Fortuna che non hanno altri caratteri speciali sti crucchi, se no stanotte nessuna nännä.

K & K: ketchup & kinder cioccolato

I tedeschi & l´ironia sono un po´come la pasta col ketchup. Se provi la combinazione, cambi ricetta.

J: "Allora, come va? "
M: "Bene: lavoro, cucino, lavo... mi manca solo un uomo, crucco magari! e poi sono apposto"
J: "Ah, certo"

24 ore dopo, un e-mail da parte di M. (sana et ariana costituzione)  mi invita a prendermi un wurstel (anzi, un Wurst) con lui.
Non é dato sapere quali informazioni abbia ricevuto sul mio conto.

Non avendo sottomano la pummarola, credo che tenterö col ketchup. Esperienze antropologicamente interessanti prospettansi. Perché io crucco, non cucco.

PS: in pausa pranzo ho assistito tutt´orecchi ad una lectio magistralis su usi & costumi della comunita´gay berlinese, tenuta da un collega che da piccolo avrebbe potuto essere il bambino stampigliato sui cioccolatini Kinder.

 Per anni fu usata un'immagine - ritoccata più volte - del tedesco Günter Euringer, successivamente sostituita da quella di un altro ragazzino chiamato "Kevin" che la dirigenza Ferrero riteneva più "al passo coi tempi".

Vuoi mettere il video anni ´90 all´odiosa bambina che ha il koala Ciuffo?

"Wurstel": perché e´meglio grosso

Sola in ufficio.

Sfatiamo un mito: il "wurstel" non esiste. Esiste die Wurst (la salziccia) nelle mille possibili sue declinazioni e qui van fieri del Currywurst, inventato (parrebbe) nel 1951.
Provate: la "r" non rotola sulla punta della lingua, ma é una specie di ctonio raspare dal fondo della gola. La "u" é un veloce intermezzo prima delle altri consonanti.
Molti qui chiedono un piccolo wurstel, cioé un Würstchen. Ed ecco perché per noialtri é meglio grosso: la combinazione consonante + CH é a prova di corso di dizione. Chiediamolo sempre grosso, e non sbaglieremo mai.

Per la cronaca, secondo le guide questo é il miglior trabacchino per papparsi iL Currywurst. E a fianco, c´é il kebab migliore della cittä, a voto unanime. Non ho provato ancora nessuno dei due: il primo perché non sono una fan del genere, il secondo perché a qualunque ora del giorno e della notte c´é una fila incredibile.

Cibocentrica?
Ho ancora sullo stomaco la birra dolce (credo al caramello) che ho scioccamente accettato di bere ieri sera.

La danza dei 40 (extra)vergini

Pensavo al post sulla "burrocrazia". Chissà se qui quando qualcosa fila si usa la metafora dell'olio. E mi è venuta fame, fame di cibo patrio.  
Nel mio paradiso personale non vorrei 40 vergini, bensì 40 extravergini. Coi tempi che corrono, vuoi mai che i cinesi si mettano a contraffare (perchè avevo un dubbio sul congiuntivo di contraffare) anche imeni, oltre che le olive.
Ve li immaginate? 40 extravergini di fresca spremitura che danzano senza sosta, al ritmo dei cori angelici. Un vortice di sapori, viatico per la beatitudine. (Che poi, quante siano esattamente le vergini assegnati al buon islamico è materia controversa, mi par di capire).

E poi ieri ho provato a spiegare ad un danese cosa significa disquisire "sul sesso degli angeli". I figli di Lutero, e peggio ancora i figli del pragmatismo stile Ikea non sanno quali sapori si perdono. A livello semantico e a livello di papille.

(googlate "sesso degli angeli" e stupitevi delle immagini che escono).
Buona notte e saporiti sogni (che resteranno tali). Giovanni Rana, quando passi a casa mia?


lunedì 7 novembre 2011

Burrocrazia: perchè qui fila liscia

Velocissimo prima di tuffarmi a letto: l'incrontro con la burocrazia.
Niente da eccepire: efficienza, puntualità, trasparenza, come stereotipo vuole.
Gli uffici aprono i battenti alle 7.45, distribuendo il bravo numerino agli astanti in fila composta, alle 7.55 le campanelle per la chiamata comincia a trillare. Su ogni documento è stampato il nome e cognome del funzionario di turno.

                                                           Un ufficio delle finanze

Registrazione all'anagrafe: checked (pure doppia, visto il trasferimento)
registrazione alla finanza: checked
In banca mi è stato assegnato un personal banker, una compunta signora spigolosa dal cognome chilometrico (poi da sposata raddoppia, per non farsi mancar nulla). Non esordirò mai più con "voglia scusare il mio tedesco", per evitare di beccarmi spiegazioni alla moviola. Ho esibito l'italica incredulità per la tecnologia teutonica: qui le macchinette oltre che dare soldi, li caricano sul conto. Oppure, naturlich, tutto online.
Nessun inghippo, solo quelli autoindotti, come scambiare l'indirizzo (Potsdamerstrasse con Potsdamerplatz) e vagare bestemmiando tra i denti per mezz'ora scontrandosi con l'altro aspetto dell'efficienza teutonica: il "no, non è possibile" senza un minimo di pietà per l'agitazione montante.

Una nota di colore: chiedono di dichiarare una religione. La prontezza mi fece difetto e così sono stata catalogata RK = römischer Katholik . Se mai un giorno percepirò un reddito oltre la soglia del tassabile qui in Wurstiland, mi tocca disincattolizzarmi, se no finanzio Ratzi & co. Lo trovo un retaggio davvero bizzarro, per la Germania almeno.

bilanciando

Ah. caffè alla mano e vago torpore da digestione. Non è proprio un espresso, ma nemmeno io sono proprio Giorg Clunei. Dunque eccomi qua, nella comoda poltrona del bel soggiorno della mia casetta nuova.
Gran colpo di fortuna, non c'è che dire. Più centrale di così è dura, e soprattutto in un quarto d'ora di fluida pedalata sono in ufficio. Sono circondata da kebabbari, cibo asiatico, cibo pseudoitaliano, hamburger, ristoranti. Oltre che club, discoteche, bar. Quindi qualche incontro antropologicamente interessante capita sempre.

Ma non divagare, dannazione. Il primo mese è stato di assestamento. Molti sanno, altri no. Nel silenzio della casa ancora deserta, a parte la mia signoria, qualche riga per la memoria storica, vilmente consegnata ad una serie di segnali binari e di pixel.
Il 25 settembre, con una valigia molto piena e la testa un po' a tabula rasa ho raggiunto Berlino, città che l'anno scorso mi aveva stregato per la sua aria "arm, aber sexy" . In tasca avevo un rotolino di risparmi e una serie di CV spammati a più non posso. Il giorno dopo ho avuto un colloquio, due settimane dopo varcavo la soglia dell'ufficio in qualità di stagista di PR International.
Nei primi quindici giorno ho arraffato il primo lavoro che ho trovato: telefonista presso un centro di ricerche di mercato. Tradotto: ore al telefono a tampinare a tappeto prima dei poveri installatori di caldaie, poi privati random francesi per sapere come se la cavavano col bricolage ed infine crucchi pescati a caso per sondare i loro gusti musicali. Un'ora di bici all'andata, una al ritorno, per segnare da subito lo stacco col mondo ovattato della studentessa domestica.
Quel tempo mi sembra lontano anni luce. Quando la cena non era una combinazione di esercizio mnemonico (cosa mi è rimasto in frigo?), chimico (come non far esplodere questo e non bruciare quell'altro?), matematico (tempo di cottura proporzionato al tempo della doccia), ma un'opera d'arte che usciva dalle mani di mammà per finire nel mio pancino. Quando la spesa era una scusa per non dover studiare e poi un infinito tedio con annesso infernale concerto di beep alle casse.
Intanto mi sono interrotta per una birra dolce col coinquilino. La coesione ne risentirà, ma pazienza se qualcuno effettivamente mi sta leggendo.
Dicevo. Un mese con Ferdi, quasi pastore luterano e sosia di Tonio Cartonio (ma è poi vero che è morto di overdose?). Casa piacevole, coinquinlino molto crucco. Mi sentivo Marisa Laurito: jamme che Miriam cucina, Miriam pulisce, Miriam fa ordine. Il coinquilino si nutriva di muesli, joghurt, pasta in latta e proteine iofilizzate. Difatti, non è che il risultato fosse poi sto granché. La lotta peggiore era con le piastre: niente gas e quindi ore ed ore per una cena da 6 politico.
Al vecchio lavoro ho conosciuto uno scrittore egiziano e una panoplia di crucchi in bretelle e baffoni color evidenziatore scarico. Per due settimane ne è valsa la pena.
Poi il lavoro, cui riserverò, presumibilmente, un post ad hoc.

E ora la casa nuova. Qui  Abito con Jan (detto Zottel, equivalente di "fricchettone" perchè ex rasta) e Norman e ho colonizzato la camera di Jan . Zottel è davvero 'nu bravo guaglione, non il crucco che ti aspetti. Si beve una birretta insieme, ci si scambia due parole e, soprattutto, si aspetta che arrivi mammò (mia) il prossimo weekend per papparci delle lasagne che lui, altrimenti,s i sogna (mi ha appena, velleitariamente, sventolato il pacchetto di lasagne marca "JA" che ha comprato, il fellone).
Ho trovato già il mio angolino (qui tutto è costruito su misura dei due Jan, che sfiorano i due metri), che è sempre l'angolino più basso e rintanato. Abbiamo perfino la macchina del caffé, un balcone, una lavastoviglie, una combo tv-radio-altoparlanti di gran lusso. Insomma, davvero un bel lucky strike, perchè con i soldi di affitto+bollette in italia pagherei forse solo le bollette.
D'ora in poi cercherò di snellire i post, ma i primi saranno di recap per coloro che non sono al corrente del mio status.
Adesso brindo all'assestamento compiuto, fino alla prossima, quando comincerò a lagnarmi della quotidianità.

Navigando (per e al lavoro)

Camera con vista & pensieri alla grappa

Insistente rumore di tasteggio, a volte intermezzi di voci piu´o meno scocciate al telefono. Sono al quinto piano dell´ufficio di MC (no, non e´mac donalds, ma sempre meglio essere prudenti e scrivere solo le iniziali), in Wassergasse 6. Il rinnovamento post DDR ha avuto l´umanita di concederci un ufficio quasi tutto a vetrate. Intorno a me, al di la´della lina d´orizzonte fatta di PC e schedari, di colleghi poliglotti e cape ipertecnologiche, si staglia l´ineffabile autunno berlinese.
E credetemi, non e´paragonabile ai colori della Padania. Le strade sono letteralmente cancellate da masse di foglie che rabbiosamente il vento scaraventa, incurante delle bestemmie di plotoni di spazzini efficienti a qualunque ora del giorno e della notte. Credo che i colori potrebbero benissimo tornar comodi a qualche stilista per saturare il mercato con qualche nuova trousse di trucchi con un nome poetico "Nordic autumn", "Berlin magic", "bisous de novembre", "bijou d´automne", tutta incentrata su toni di marrone-rosso-giallo. Chissa´se sta meglio alle bionde o alle more.
La Sprea (fiume, nda) si snoda pigramente da qualche parte li sotto, dove fra gli alberi fa capolino il profilo di qualche pretenziosa ambasciata, molto quadrangolare. A memoria: Nigeria, Turchia e Brasile. E davanti a quella dei Carioca ci sono periodicamente manifestazioni pro foresta amazzonica, fronde di attivisti fra le fronde berlinesi per le fronde sudamericane. bah.
Non riesco nemmeno a scrivere nel fuoco incrociato di direttive, richieste, telefonate. Ma soprattutto Outlook, che incurante della mia ricerca di un momento di rapimento, mi segnala insistentemente l´arrivo di mille e-mail, tutte egualmente scialbe.
Il ritmo non e´ancora serrato, si sta lavorando alla Innovation Convention.
Cerco di tenere sotto controllo la disgrafia, ma non me ne vogliate se sfuggono dieresi al posto di accenti, la tastiera mi e´ostile.
Per queste latitudini il clima e´"tiepido", anche se la sera giä la morsa del freddo che verrä si fa sentire. Ho appena chiamato il mitico Johnny (amico e couchsurfer di Brno) per un proofreading in ceco dell´ultimissimo momento. Mi ha risposto che era in "the middle of nowhere" a raccogliere frutti per lo slivovice.
Vi lascio con il sapore forte di questa grappa casereccia, perche´in fondo per ora Berlino mi ha un po´inebriata, con il mulinello di novitä concentrate in quello che e´, in fondo, poco piu´di un mese. Adesso che mi sto abituando, che mi lascio cullare dal ritmo della routine e mi compiaccio della comoditä del nuovo letto, il sapore come marea bassa si ritira e dovrö temprarmi alla granitica, logica, impietosa consequenzialitä, infilando un passo dopo l´altro senza fermarmi troppo a chiedermi perche´ e dove vado.









Segue sessione fotografica in pausa pranzo

Rompere il ghiaccio virtuale

Voila
Mai scritto un blog e sempre pensato fosse megalomane ed egocentrico. Mi ricredo all´alba del quarto di secolo, incriccata in una scrivania del centro di Berlino.
L´idea e´quella di comunicare con i soliti noti, coloro che a qualunque latitudine io sia, mi fanno sentire un po´a casa. In modo veloce e, nevvero, un poco spersonalizzato, erche´un post vale per tutti.
Perche´in fondo sono come una tartaruga, il guscio me lo porto sempre dietro ed e´bello poterci nascondere il ventre molle.
An ga proa