martedì 23 ottobre 2012

A fil di pagina


Maria, ihm schemckt's nicht (Maria, non gli piace) è il titolo di un libro scritto da Jan Weiler, giornalista del Süddeutsche Zeitung. In 276  scorrevolissime pagine, l’autore racconta del suo peculiare incontro con l’Italia e gli italiani: si è sposato, infatti, con la figlia di un Gastarbeiter originario di Campobasso. Figura chiave dell’intero romanzo (realistico, ma con licenza di fantasia) è Andò, il suocero che all’inizio degli anni ’60 è riuscito, mentendo sulla data della sua abilitazione professionale, a raggiungere la Germania. Stipato nelle camerate di una fabbrica ad Osnabruck, dove le sue qualifiche professionali non contavano nulla, Andò ha imparato il tedesco solo improvvisandosi cameriere, ma non ha mai perso il suo accento meridionale, né ha mai fatto pace con desinenze e genere dei nomi. Istrionico, convinto che Freud abbia plagiato Machiavelli, Andò accoglie Jan in famiglia, il che significa, per il teutone genero, entrare a far parte di un esteso clan famigliare molisano con origini sicule.
Ogni estate si trascorre fuori Campobasso, tra un gelato sul Corso e una partita a scopa con zii, cugini e nonni che sono maestri nell’arte del bluff, mentre le donne spadellano in cucina. Jan impara presto che non ha modo di sottrarsi al ruolo di oca all'ingrasso che Nonna Anna gli ha assegnato: rifiutare l’ennesimo cucchiaio di trippa o non gioire del panettone inviato fin in Germania sarebbe un’offesa irreparabile. Jan, del resto, adora il cibo italiano, anche se non riesce a capacitarsi di come un popolo che sta in piedi a carboidrati possa non soccombere alle leggi di Darwin. Anche dell’incomprensibile morbidezza dei materassi italici Jan non riuscirà mai a farsi una ragione, tanto da dotarsi di un coccodrillo gonfiabile da spiaggia per placare i dolori alla schiena.
Il romanzo è uno sguardo ironico, ma compartecipe, sugli eterni stereotipi sugli italiani e sui tedeschi: Andò in Germania tesse le lodi del clima, della cucina e della forma mentis italiana, ma una volta in patria, non fa che sbandierare la puntualità ed efficienza teutoni, che in Italia ancora mancano. Dal canto suo Jan, che a poker vince senza barare, si ustiona al sole mediteranneo ed è convinto che l'inverno appenninico sia mite,  e scambia la parola “fregna” per “freccia”, sarà pur sempre per i parenti di giù un “Kartoffel”. Dopo l’ostilità iniziale del suocero, orgoglioso e geloso della figlia, Jan impara a stimarlo, fino a diventarne il solo confidente: è a lui che Andò racconta dell’infanzia e dei suoi sogni di riscatto, quando facendo scorribande con gli amici per i vicoli di Campobasso si portava sempre dietro una cartolina di New York, e del matrimonio in Germania all’insaputa dei genitori rimasti in Italia. Con lui Jan impara un’altra lingua: il canonico modello “ricezione-comunicazione” per Andò e tanti italiani non funziona, la pur pragmatica mentalità tedesca incontra quella creativa, ilare, talvolta fanfarona e sconclusionata degli italiani, che sanno sempre uscire, magari con un colpo di genio mascherato da un sorriso, dai grovigli che si creano.
Nel 2009 è stato girato anche un film, che vede Lino Banfi nei panni di Andò. Ma il ritmo piuttosto lento del film, solo a tratti spezzato da qualche boutade memorabile, non ha paragoni con il libro che si legge d’un fiato, magari per un attimo beandosi della complementarità italo-tedesca. In fondo, può funzionare: nonostante la praticità dello pseudocaffé nel bicchierozzo riciclabile zum Mitnhmen, Jan per due pagine celebra la poesia del mescolare un espresso mattutino, aspirandone l’aroma seduti al bancone del bar. E del resto, una delle tante arti retoriche italiche è quella del saper lamentarsi (vedi: del teutone di turno), eppure adattarsi (vedi: affezionarcisi).

giovedì 18 ottobre 2012

Rührei l'èl mangià di rurai

Il suono delle parole esercita su di me sempre un certo fascino. Quando si tratta del tedesco, è un po’ il gusto dell’orrido, di quel masochismo orale con cui presto dovrò cimentarmi sul serio, sistematicamente e senza più semplicemente andando di fiore in fiore come un’ape ebbra di dieresi e gruppi consonantici.
Ed ogni volta che imbatto nello Rührei, non posso che rimuginare fra me e me il suono. In realtà, ad affascinarmi è la combinazione: ü-h-r. Non si tratta di un uovo contaminato dalla splendida regione della Ruhr, ma la H dopo la U allunga comunque il suono in una specie di muggito che graffia la gola, se provate a pronunciarlo, vi sembrerà di avere una motosega in gola.
Infine, non è che l’uovo strapazzato, che qui va molto per colazione e servito sul pane. Improvvisandomi Clerici, che ogni tanto fa bene per l’ego, ecco la ricetta. Ah, letteralmente, è “l’uovo toccato”, per una volta i tedeschi sono più delicati di noi.
Le uova si sbatacchiano in una padella col burro caldo. Poi, per renderle cremose, si va di panna o di versatile quark. Le si tengono mescolate perchè sia tutto uniforme, senza grumi. iL tutto è pronto quando il composto è bello luccicante e ancora leggermente umido. Di solito si integrano, a piacere: pancetta, prosciutto, gamberetti, formaggio, funghi, cipolle, erbe, briciole di pane, pomodori e verdure.
Credo che mia nonna commenterebbe: "Rührei l'èl mangià di rurai". Ci si potrebbe fare un rap.

Ma(h) la sanità?


L’autunno è il mese della prevenzione, anche se non ci sono più stagioni. Così mi sono detta che, forse, dopo un anno solare a Berlino, era ora di trovarsi un cosiddetto “medico della mutua”, giusto per rinfrancare la coscienza e non aizzare contro di me il destino, si sa mai.
Google-maps munita, ho subito trovato il dottor W., che sorrideva biancoperlato dal suo sito: candore ovunque, una ridda di specializzazioni interessanti, inclusa agopuntura, terapia del dolore e la foto di gruppo con tutte le infermiere. Compongo il numero:
“Buongiorno, mi chiamo MF, vorrei fissare un appuntamento”
“è una nuova paziente?”
“sì”
“mi spiace, siamo pieni, non accettiamo nuovi pazienti”.

Tu-tu-tu. Delusione. Dalla foto le infermiere (o “sorelle”, come le chiamano qui) avevano un’aria molto più accomodante. Pazienza, provo con la dottoressa S., sito meno posh, ma chiaro e accessibile.
“Non accettiamo nuovi pazienti”.

La risposta si ripete quattro volte, mi do un’ultima chance e poi decido che mi terrò la coscienza sporca e incrocerò le dita perchè non mi vengano malanni.
Le recensioni su internet per la dottoressa. A., che di nome osa fare Heidrun, non sono granché. Ma è fuori casa, quasi potrei sbirciarle in ambulatorio dalla mia finestra. Oh, miracolo! Mi accetta, dopo 3 giorni passerò per una visita.
Prima dell’ora X mi sembra di essere tornata al catechismo domenicale pre-confessione: ripasso la mia  (per fortuna) poco sapida storia clinica, penso ad un efficace resumé tedesco e provo a sorridere biancoperlaceamente come il W. del sito di cui sopra. Facevo lo stesso quando mi spedivano a forza a raccontare al prete tutti i miei peccati. Vorrei che la Heidrun mi indirizzasse presso qualcuno che possa prendersi cura dei guaiti della mia schiena, e presso un allergologo.
Entro nella praxis e una Schwester in bluette mi accoglie sotto un arcata sopraccigliare curatissima e un velo di ombretto indaco. Mostro subito la ricevuta del quartale (in Germania si paga una visita ogni 3 mesi e poi si è a posto per quell’arco di tempo), ma l’indaco-marinaretta mi chiede comunque 10 E. Sbatacchio le ciglia, tanto non potrò mai competere con le arcuate e truccate sue. Non fa alcun effetto.
“mi scusi, ma sta scritto qui, ho pagato”.
“Signora, doveva farsi fare una Überwesung per una visita qui”.
Incomprensione. Come avrei potuto un mese fa, durante la visita di routine da uno specialista, sapere che avrei voluto passare per un controllino casual dalla Heidrun? Il lucore delle pareti inibisce le mie capacità di dibattito, e le chiedo se si accontenta di un gruzzolo in moneta.
Mi installo, poi, scocciata, sulla sedia. Leggo il mio fido libro e ogni tanto ripasso mentalmente: schiena-asma allergico-mi consiglierebbe-guardi-come-sorrido-bene. Mezz’ora dopo l’orario del mio appuntamento, la dott.ssa Heidrun si palesa. Casco da paggetto color polenta sbiadita, labbra che sono giusto una riga per il adempiere al minimo sindacale richiesto, asciutta.
Mi spiace, non posso più ricevere”.
Ri-sbatacchio le ciglia. Di nuovo, non fa alcun effetto. Avevo o no un appuntamento? Sì, ma si è fatto tardi, la Heidrun indica l'orologio.
Il casco sbiadito mi si avvicina e chiede, senza troppa verve “era per un problema grave?”
“mah guardi dottoressa, non saprei a che grado di gravità stia la coscienza sporca”…ovviamente penso solo fra me e me. Mormoro “no”.
“Allora venga domani, o presto, oppure si faccia fissare un altro appuntamento”.
Ri-ri-sbatacchio le ciglia, attonita. Forse non ho capito bene, mi sta solo dicendo che farà una pausa caffè e poi riprenderà con le visite. Invece no, anche una coppia vicino a me viene rispedita al mittente. Esco imbufalita, una volta all’aria aperta chiamo il povero, innocente B. e inveisco contro i medici crucchi. Per una volta, sfodero l’orgoglio della sanità regionale mia.
Ogni volta che chiedo a qualche amico tedesco come funziona il tutto, ottengo risposte diverse. Perchè mai per andare dal medico della mutua ho bisogno di una prescrizione?
Sgrunt. Fortuna che, siccome non ci sono più stagioni, l’autunno è in stand by. Gironzolo per le strade e finisco al Media Markt: vado in avanscoperta per il prossimo investimento in una stampante. Dopo un sopralluogo distratto, rimuginando ancora sul nervoso ambulatoriale, trotterello verso il reparto delle sedie massaggiatrici. Sono decisa a provarle tutte, specie quelle più costose, che promettono shiatsu, rolling, opzioni calore. La commessa mi guarda torvo, ma è mio diritto dopo il torto subito.
Quando mi alzo, ho lasciato qualche capello chiaro sulla sedia nera. Ebbene, l’autunno oltre che il mese della prevenzione, è quello della muta. Se ne facciano una ragione.
Dovendo comprare un paio di viveri sostanziali, faccio un ultimo balzo al supermercato. Come sempre quando il mio ego vibra ferito nei suoi diritti fondamentali, finisco per perdermi nel reparto cioccolati. I Ritter Sport sono a 85 c, buoni, pratici, quadrati. Soprattutto quadrati, si infilano sornioni in tasca e poi si sciolgono in bocca.
La nuova Winteredition, con tanto di pupazzo di neve ammiccante, mi seduce subito: “mandorle caramellate”. È un attimo, e quadretto di grassi idrogenati e zuccheri è mio. Il blocchetto funziona a dovere: il rilascio di endorfine è proporzionale all’harakiri che compiono i miei denti e il mio girovita, ma per ora dimentico le ingiustizie del mondo.

sabato 13 ottobre 2012

Sole

Il sole a Berlino, di questi tempi, è come un’oasi fresca nel deserto. Per cui stamattina, appena sveglia, non me lo sono fatto sfuggire, e con la scusa di sbrigare qualche ordinaria commissione mangereccia, mi sono messa in marcia, testa alta quasi a bermeli, i raggi. Ho lasciato la bici a riposare, per oggi, per prolungare il contatto col sole, mi sentivo una lucertola in libera uscita. Le ho promesso, tuttavia, di tornare con un cavalletto nuovo fiammante, per riscattarla, dopo mesi, dall’andatura claudicante.  
Andando a caso mi sono imbattuta, finalmente, in una Bäckerei artigianale. Di panetterie industriali ce ne sono innumerevoli in città: Kemps, Crobag, Havel e che so io. Tutte col solito cappuccino che sa di risciacquo della lavastoviglie (non so se l’abbiate mai provato, il risciacquo, intendo), e dolci con la glassa plastificata e un sapore medio tutto uguale. Ora,  io coi dolci non ho né arte né parte: se non altro perché millantando di preparare un tiramisù da leccarsi i baffi, ho propinato ai miei coinquilini una variante molto eterodossa. Mi ero giusto scordata un dettaglio: il mascarpone. In sostanza, gli ignari, ma ingordi coinquilini si sono sbafati un budino di uova crude, cacao e savoiardi del Lidl. Non pare abbiano accusato salmonella.
Comunque. Ogni tanto, la mattina, il Naschkatze che è in me non miagola più, ringhia. Qui il goloso, di fatti, è un “gatto che spizzica”. Orbene, inseguendo l’imperativo categorico katziano, sono finalmente capitata in una botteguccia anonima, dall’insegna sbiadita. Il turco che la gestiva si divideva tra bancone poco rifornito e forno sul retro. Perfetto. Niente Qual der Wahl (tortura della scelta), pochi gusti per i croissant e qualche altro dolce, alcuni turchi, altri international. Agguanto il mio Marzipancroissant e dazu un cappuccino. Non è proprio da manuale, ma le mie papille hanno un momento di estasi al sapore di caffè vero.
Pagato con pochi spiccioli il buon incipit di giornata, la mia fortuna è sfacciata. A fianco della Bäckerei c’è una libreria di seconda mano. Una stanzetta afosa, senz’aria, dove si affastellano libri ovunque, non ci si può girare senza urtarne uno. Si trovano romanzi rosa in edizione economica accanto a edizioni illustrate di Dostoevskij, poi c’è il reparto “Berlino” con guide ed itinerari scritti 50, 60, 100 anni fa. I classici della letteratura tedesca sono in versione senza copertina, con caratteri gotici e note a margine in matita, talvolta, vecchi manuali scolastici fanno capolino dagli scaffali insieme a guide di cucina.
La mole di libri attutisce i rumori del traffico sulla Greifswalder a pochi metri. Non so quanto sono restata a rovistare tra gli scaffali, in un tetris di volumi senza troppo ordine. Il libraio fa lo stesso in qualche angolo sul retro, non sembra curarsi delle mie pericolose giravolte zainomunite che potrebbero far crollare le pile di libri sul pavimento. A occhio non arriva ai 40 anni, dolcevita nero d’ordinanza, ciuffo scuro su occhio chiaro, smilzo. Sarà l’ambiente, ma mi sembra che abbia lo sguardo perso, che rincorre qualche fil rouge della sua immaginazione, insomma che non potrebbe avere altro aspetto, se non quello che ha, come fosse un dandy appena abbozzato dalla penna di un Wilde arrugginito.
B. è con me a rastrellare libri, lo convinco a intascarsi “Il nome della Rosa” e il libraio intavola una discussione sullo stile di Eco. Fuori l’autunno sembra tergiversare, le foglie già rosse e vorticanti nell’aria per oggi sembrano fuori luogo, con il cielo terso e una luce troppo intensa per essere autunnale. Per un euro e 20 ci portiamo a casa una borsa piena di libri, alcuni magari resteranno a far polvere per anni, altri probabilmente non riuscirò a finirli per ostacoli linguistici. Eh sì, perché metà dei libri in vendita costano 1 E al chilo: il dandy li impila su una bilancia da cucina e fa i calcoli a matita su un pezzetto di carta, quasi fosse un profumiere con preziosi ingredienti, chino all’ombra della sua bottega.
Ma mentre il fruttivendolo per strada cerca di appiopparmi imperdibili zucche di stagione, non posso che sorridere al fine settimana che mi strizza l’occhio promettente. Uscirò più tardi per mantenere la promessa fatta alla bici.

martedì 2 ottobre 2012

prima di andare nel lettone

Cercando di vincere Morfeo, pensavo a Putin.
E non perchè quest'astro della democrazia mi stimoli l'adrenalina, quanto piuttosto ho avuto un'epifania di quelle che grattano i precordi e fan emergere la nostalgia di casa.
Pensavo al lettone di Putin. Ogni volta che mi ci imbatto, leggo il lèttone.Guardo il mio ampio letto teutone, e mi immagino un cicisbeo baltoslavo che  presta i suoi servigi a Berlusconi.  E la scena con la D'addario diventa ancora più raccapricciante.
Così mi sarà da monito, quando in tedesco per dissertare sull'afa dimentico la ü e finisco per lamentarmi dei gay (schwül / Schwule). E a Berlino l'equivoco potrebbe fare terra bruciata delle mie relazioni sociali.
Del resto da piccola mi ostinavo a volere il pandoro della Baùli, e alle superiori i miei professori del Regno delle Due Sicilie mi han sempre fatto credere che la tripartizione dei poteri fosse un'idea di Monstequiè e che il pathos dello Sturmmeunddranghe fosse opera di Gòte.
Il mio lettone mi fa l'occhiolino e penso che se stessi scrivendo in francese, mi toccherebbe traslitterare Poutine: già mi vedo energumeni del KGB tascinarmi in cella per aver dato della Minetti all'augusto presidente.
Mi converrà ricorrere a scongiuri transfrontiera: toccherò legno e ferro, in mancanza degli attributi che nella mia città sono l'emblema del Colleoni (e fate chiedere ad una tedesca in fregola turistica, "scusi, dove sono i colioni da toccare per la fortuna?")