mercoledì 21 dicembre 2011

Rime d´ufficio

Dovendo cancellare ogni traccia di comunicazione fra colleghi che non sia inerente al lavoro, posto qui, a memoria dei postumi, alcune vaghe rime con cui comunico cripticamente.

Relativo alla comparsa di due colleghi non gay e che si atteggiano a tronisti de noantri e alla reazione della mia odiosa vicina di scrivania.

Sembra un uccellaccio appolliato alla balaustra
gli occhi coi due belloni ben si lustra
di lavorare manco pensa di far finta
al massimo si ritocca bene il fondotinta

Relativo ai due tronisti e alla reazione di una collega francese

Tu chiamalo, se vuoi, macho
ma parmi il suo mento rimpighiaccio
con viril vigore protrude sotto il ciuffone
che peró gli dá quell´aria da cojone.
Anche l´altro é un grand´omone
che dite, stimolan della gallica l´ormone?

Relativo ai gossip d´ufficio sulla soprannominata

Poi, peró, c´é il transilvano
men viril, poco Vitagliano,
eppure anch éllo il cor accende
e forse quatto é lui che fende
delle galliche grazie il portone
et io benedico tal unione

martedì 20 dicembre 2011

la prima volta col piú grande (dopo Mohammed Ali) e con il Club Mate

Aria rilassata in ufficio. E spunta uno stock di Capri-Sonne,  che é IL succo per antonomasia qui in Crucchia. In circolazione da decenni, la sua particolaritá é la confezione: un sacchettino di alluminio di soli 4, 33 g, morbido,, niente bricchino rigido come gli altri comuni, mortali succhi. Stando ad Internet, trattasi  di imaballaggio vidimato come "ökologisch", ovvero ecologico.


Il sole di Capri stato lanciato niente meno che da Mohammed Ali, secondo cui il Capri-Sonne era il piú grande, dopo di lui. (video)
La mia prima volta, come da copione, é stata carica di attesa, ma si é rilevata ababstanza deludente. Il gusto ciliegia é identico al gusto arancia, ovvero un dolcino indefinito, molto chimico a dispetto delle promesse dell´etichetta.

E qui non posso non raccontare di un´altra, recentissima prima volta, stavolta con il Club Mate.
Che non é, all´anglofona, un amico conosciuto in discoteca (di solito rientrante nella categoria "friends with benefits" o, meno politically correct, "with penefits"). Si tratta, bensí, di un´altra bevanda molto cara a questi mangiacrauti. E´un energizzante molto comune (categoria a me invisa), che  si beve per reggere il ritmo di introiettamento alcolico.
La lista degli ingredienti cosí recita: acqua, glucosio, zucchero, estratto di te mate, agenti acidificanti, aroma caffeina, aromi naturali, E150 (qui anche i menú segnalano la presenza di potenziali allergeni, inclusi coloranti e chimicate varie, difattisono pieni di note a pie´pagina, manco fossero tesi).
Per l´inverno esiste la versione con cannella, per riscaldare oltre che tirar su il morale.

Devo dire che anche qui, dopo un timido, casto fremito di labbra, sotto gli attenti occhi dei teutoni presenti, ho preferito sottrarmi ad una piú approfondita conoscenza, lasciando la bottiglia sostanzialmente illibata, in balia delle voglie notturne dei coinquilini. Sempre quelle note dolciastre e non meglio definibili di sottofondo.

E con questo, sorseggio gli scampoli di quest´inutile gironata di lavoro, buttando uno sguardo sul nero inchiostro della notte berlinese, cominciata giá da ore, ma nataliziamente violata da miriadi di luci: mercatini, ruote panoramiche, insegne varie.
Alla salute (e presto brinderemo all´ombra del tricolore).

Divagazioni prenatalizie

Prendi un giorno qualunque prima di Natale. In ufficio cé´giá stata un´ecatombe, personale dimezzato, piovono email di commiato con ghirlande e fiocchi di neve, da chi si eclissa per le feste ed é giá intento a riempire capponi o kartoffeln, a seconda.

Zompetto svogliata tra una mail e l´altra, pilluco qualche notizia dai patri giornali, visito il bagno solo per sgranchirmi le gambe e scambiare deux mots con la collega francese, che oggi ci delizia con resti di quiche. Sono l´unica che non l´ha ancora apprezzata, ergo l´unica che ancora storce il naso per il diffuso sentore di aglio conseguente. Il collega polacco ha avuto il coraggio di mangiarsene un pezzo con the e caffe, manco fosse un cornetto.

RyanAir mi ricorda che devo fare il check-in online, la mia vicina di scrivania scarta i pacchi che ha ordinato online per ultimare la lista dei regali di Natale. Ups. Berlino é capace di risucchiare talmente ogni minuto della mia clessidra, che il capitolo "strenne natalizie" quest´anno giace inevaso. Non so se avró la forza di rimediare, ai mercatini finisco sempre per arenarmi sul Glühwein o per dribblare rabbiosamente frotte di turisti che come pezzi di tetris si frappongono fra le mie ruote e la via di casa.
E poi, a Natale ogni scusa é buona per alzare il gomito: il Xmas party dell´azienda, pletore di colleghi che rimpatriano, nuovi impiegati, i soliti stagisti che se ne vanno.

Il Xmas party é stata un´esperienza antropologicamente sfizievole, e umanamente sfibrante. Basta dire che: free food, free drinking. Serve altro? e l´80% del personale é composto da baldi under 30. Vigeva und dressing code abbastanza rigoroso, anche se mitigato dal poverbiale gusto teutonico per la moda, cosí anche io ho prontamente rimediato una mise da 6 politico, prendendo in prestito una cintura di qua e una calza di lá. C´é stato chi da giorni ha pianificato ogni minuto dettaglio, dall´acconciatura all´abbinamento rossetto-scarpe. Ma a conti fatti, salvo il momento canonico del discorso del capo supremo, che indugia su cifre fintamente rassicuranti, su grafici pompatissimi e prospettive galattiche, tutti si trasformano poi in un branco di locuste fameliche.
Giá dopo mezz´ora si contano le prime vittime dei bagordi: la mia collega francese biascica pericolosamente e bisogna assicurarsi che non batta pacche sulle spalle dei seniors. Quando si apre il dance floor, peró, anche alcuni vertici della scala gerarchica perdono il loro finto aplomb, e cosí con sbigottimento tutto bigotto noto il socio brasiliano (un  piccoletto sui 50) che scondinzola intorno a quelle che potrebbero sue nipoti, calice alla mano e bacino snodato. O ancora la mia capa, monumentale crucca la cui giunoniche gemelle frontali arrivano sempre qualche minuto prima del resto del corpo, che si scatena e, orrore, con l´i-phone scatta foto di chiunque in qualunque posa, e in tempo zero le schiaffa su internet per il pubblico ludibrio. La colelga polacca, formato tascabile e di norma taciturna, tanto che scivola come un´ombra quotidiana, avvolta (ma non troppo) in un sontuoso abito nero, si rivela una provetta ballerina; la collega tedesca, di norma una granitica macchina da lavoro, é imperlata di sudore e a chiunque glir ivolga la parola riesce solo a sbiratare: "hai mica del deodorante?".
Io e le due colleghe italiane siamo la fabbrica delle maldicenze. Per fortuna trovo pane per i miei denti, io che amo affibbiare nomignoli. Direi che quello unanimamente riconosciuto come azzeccaterrimo é "l´ispettore Derrick". E la portatrice é una crucca da manuale, un metro e ottanta di sola forza lavoro, prognatismo terribilmente somigliante a quello di Luca Rigoni del TG5, a riprova della carenza di biodiversitá nel mondo.
Per l´occasione é infilata in una specie di soprabito castigato, da ispettore appunto, e il nome le se attaglia per l´affabilitá. Fortuna che non ci ho a che fare. Voci di corridoio del giorno dopo mi riferiscono di un omaggio che le avrei fatto, cantando la siglia del telefilm mentre saltellavo stile "febbre del sabato sera" dietro di lei.
E sí che dovrei temere gli slanci ironici, giá con il mio integerrimo coinquilino N devo sempre mettere i sottotitoli se non voglio crisi diplomatiche.

La fabbrica della maldicenza, tuttavia, si rivela anche un´ottima unitá di pronto soccorso. Qualuno cade a terra, avvinto da Bacco e funesti pensieri personali, qualcun altro non ritrova le sue scarpe. L´apice é la collega spagnola, lei uguale a Nightmare before Xmas, tutta occhi e ossa, che é appollaiata come un torvo corvo alla reception e  ha perso ogni facoltá di parola, salvo di inveire in castigliano stretto. Non ritrova le chiavi del gaurdaroba e l´inflessibile reception rifiuta di consegnarle giacca e borsa, visto che pare abbia giá tentato al fuga con piú di un capo non suo. Evito di addentrarmi nei dettagli, ma l´epilogo é: l´unitá di crisi italiota resta di veglia fino alle SEI E MEZZA.

Alle 10 trascinarmi al corso di italiano é una sofferenza che, ne sono sicura, mi garantisce un´ipoteca sul regno dei cieli. Le mie lezioni consistono nella traduzione live di testi di opere liriche, quindi devo masticare italiano poetico dei secoli andati. Ma il bello é che il mio diletto studente é un violinista romeno, per cui i miei disumani sforzi di trasformare il tutto in tedesco devono poi passare per i dizionari romeni. In realtá, almeno quando ho alle spalle congrue ore di sonno, mi piace molto, e oltre ad essere la mia gallina dalle uova d´oro, il signor L. é davvero un ligio ed appassionato studente.

E dopo la divagazione, torno al giorno prenatalizio qualunque, ovvero ieri. Ma per dichiarare che, fortunatamente, ogni tanto mi tocca rivedere i miei cliché sui tedeschi, perché ho passato al serata con due esponenti assolutamente simpatici e piacevoli, cosa piú unica che rara. M & W mi sovrastano di troppi centimetri perché io mi senta a mio agio, ma sanno cosa significhi "fare battute" e non mi viene da controllare l´orologio ogni 10 minuti, nella speranza che sia giá l´ora di levare le ancore. Dopo la catartica bionda iniziale, ci dirigiamo ad un posto che, almeno per me, é molto berlinese. E´un circolo dárte, come lo chiamano qui: un edificio poco pretenzioso, direttamente in un parco vicino casa mia, dove strampalati musicisti, pittori e cos´altro hanno messo insieme le loro baracche e dato vita a un paio di cinema indipendenti e due sale concerto. Afro-americani appena sbarcati a Berlino improvvisano del free-style con accompagnamento di percussioni varie, nessuno ci obbliga a pagare né ingresso, né consumazioni. W&M mi insegnano pure molti modi di dire, peccato non avere a portata di mano carta e penna, visto che i neuroni sono provati dalla cronica mancanza di sonno.
Addirittura M, che agli esordi di questo blog mi aveva invitato a deliziarmi con dei Wurstel, e si era quindi aggiudicato d´ufficio il soprannome di "wusterone", mi racconta una barzelletta dove il wurstel é esattamente cio che qualunque burlone, doppiogiochista italico pensa. COn buona pace dei miei fidi, accademici lettori che giá ai tempi paventavano metafore gastro-anatomiche.
Peraltro, infaticabile mediatrice, M sto cercando di intrecciarlo con la collega francese. Resta l´arcano di come vendere me stessa, ma la mia agenzia matrimoniale é ormai un´attivitá ben avviata.

Ultima postilla: ho pericolosamente constatato un segno di inequivocabile, seppur solo incipiente, germanizzazione: ogni volta che non capisco qualcosa/non sento/non colgo una battuta proferisco un cacofonicissimo "häää?" senza aggiungere altro.
Pota, é cosí.


lunedì 12 dicembre 2011

36 hours in København

Wanderlust. This is what I´m left with after 36 hours in Copenaghen.
Friday, 23.00, my bus leaves from Berlin. I love stations. They smell of expectations, tiredness,ill-concealed frenzy, human emotions in general. A glance at the timetable and I am sure this bus station will see my presence again: buses leave for everywhere in Europe, to Norway, to Moscow, to London. It´s not as cozy as an airplane, but I´m not sure on a plane I´d bump into drunk Macedonians curved under their enormous backpacks or into ever fresh-looking Russian women able to put on lipstick no matter where they are without smudging it. The night is moonless and windy, my eye rings feel like iron rings dragging me down to earth, cooperating with gravity . The journey is about 7h, including the ferry from Rostock to Denmark.
I am so drowsy I can´t really realize it´s not me not keeping the balance, rather the ship itself rolling onto the waves. I challenge the freezing wind and try to stay on the deck as long as possible, feeling Scandinavia finally approaching me, after years of sighing waiting.  I actually feel it whenever I breathe, inhaling the mist and scanning the obscurity hoping to see something. When I set my foot in Copenhagen, my body is numb with cold and accumulated lack of sleep, but I smile like a child. I am the queen of Denmark for 36 hours, even if I have no crowns. I had no time to change my money.
All I need fits in my beloved backpack, and my survival kit features J´s address (my host) and the bus number to take to get to his place. I try to match the recorded voice on the bus with the actual name of the stops, amazed at all the Ø and å. I get to J´s place, open my sleeping bag and sink into a deep sleep for a couple of hours.
Then I´m ready to meet this city. My bag reveals some staple food to keep me going through the cold day ahead, and I get some crowns at the bank. These Danes have a receipt collecting bins just at every ATM, and some of their coins have a hole in them. Neat, environment-friendly people.
I feel a dwarf walking among these tall people, and all the stereotypes about Scandinavia prove just too accurate. I stare at towheaded people, alabaster-colored faces and amazing deep blue eyes. And the children! Danish children are just lovely, wrapped up in their warm baggy tracksuits, their delicate colorless cheeks challenging the ruthless wind. I walk around, my antennae stretched to listen to this never-heard-before language.  Reading it I can survive, you can see they are somehow related to Germans, but the sound I catch in  the air is so foreign to me, it sounds like a bunch of turkeys heated up in some interesting argument.  (Someone will later on enlighten me: Danish foreign words come from German, as their nobility spoke it, whereas Swedish nobles preferred French and took their foreign words from it).
I have no map and no idea where I am going, I just follow the flow and my feelings. I end up in a market, the best smelling one I´ve ever been to. Even if they sell fish, they manage to let instead the fragrance of bread fill the air. And, amazingly enough, the cappuccino and all the bunch of Italian stuff they sell is really good tasting. The last time I had such a perfect cappuccino was….I reckon 3 months ago, before leaving for Germany. These Danes seem to know their way around the cookers, I might get why lately they´ve been awarded so many prizes. It´s only a pity prizes rip you off, otherwise I´d be more than glad to rate all the Italian and French things they sell.
I merge with the human flow on the streets, all intent in buying Xmas presents. I´m not sure I´ll buy any this year, people back at home are already calling me ingrate and cold, turning into a damn Krauterfresser. I climb up the oldest observatory in Europe, stumbling upon an art atelier where painters work under the eyes of the visitors. I´m fascinated by an illustrator for kids stories, I stuck for countless minutes spying on his rapid sketches and flickering eyes, while he masters his work. He is illustrating his girlfriend´s story, where a child chases after the fox who killed his beloved bunny and ends up turning into a fox himself, worn out by rage and revenge.  
When my stomach growls with hunger, I fetch some ristede mandler, roasted almonds. They are very filling and sold at every corner. I drop by churches, my catholic, baroque eyes criticizing the naked, raw white walls of these Protestant places.  But my lust for colours is more than fulfilled when I finally reach the seaside: piebald, neat, little houses overlook the sapphire-blue water. Whenever the sun blesses us with some feeble rays, it all looks like in Hans Christian Andersen´s fairy tales. I can sense quiet, maybe a gloomy quiet.  Green, soft hills encounter the sea and I´m just amazed. The little mermaid is really LITTLE, though being the most-sold touristy thing in the city. But I envy her, melancholically sitting where land and water blend, carelessly un-ageing while inhaling the algid breeze and dreaming of the prince for whom she died painfully and cursed for 300 years. (Walt Disney fed us with a mitigated, “happy ever after” version of the tale, where Ariel drops her tail and stands on her feet to finally kiss his beloved one). Worth reading the real plot, if not the text itself: http://en.wikipedia.org/wiki/The_Little_Mermaid
Around 4 the pale sun is setting already. Suddenly I feel my legs stiff and decide to walk back, eventually relying on the map I stole at J´s place, and I  make it back home. He just moved in and his house is very empty, a large, candid flat he shares with a Spanish student and a Danish girl. I try my best and switch to “social mode”. But the guy is as granitic as his endless legs, he barely speaks to me. And as it always happens, I´m intrigued by the lack of smile on his face: I sit on the floor reading, while he does whatever on the PC.  Every now and then I lift my eyes from the gripping story and throw oblique glances at him, framed by the yellowing pages of my book. Is he sad? Annoyed? Dislikes me a lot? I will never know, all my attempts to melt his icy surface are like a shoot in the darkness, with no echo. Still, I find him interesting.
At around 6 we head to S´s place. He´s the very reason I am in Copenhagen. He´s a good friend´s boyfriend and has his birthday. I´m thrilled as after not even a day in this southern corner of northern Europe, I´ll be surrounded by Danes, attending a Danish birthday party. I can´t help thinking of Festen, and I wonder if any murderous truth will be revealed.
J. strides away and I nearly jog to keep his pace. We try out the local metro (only 2 lines, no driver) and he carries his bike, too. If I thought Berlin was the bike heaven, Copenhagen must be the  climax of this divinity. J. doesn´t even lock his bike, at my surprise he explains “this is Denmark. Nobody would ever steal your bike”.
S. rented an anonymous room somewhere in the city, I have no idea where. About 30 people gathered there, and my human-spotting starts immediately. First of all: EVERYONE speaks English here. The oldest, most traditional looking people easily put on a nearly Oxford sounding English and leave me stammering with surprise. I sit next to S´s girlfriend, to make the Italian laughing tandem, the stronghold of Latinity among Northerners. The first small talking is as per expectations: where do you come from, oh so you have blondes in Italy, how do you like the city. Notwithstanding the lavish alcohol, people are well behaved and speak in low voices. After some glasses of delicious home made Øl (beer), my voice raises up and I get clumsy. 
I notice a tiny man, Genghis Khan looking. A Greenlander! I am overwhelmed with curiosity. Now I get why S´s mom has hazel shaped eyes and a shadow of exotic look. Now I realize the people I thought Chinese on the streets are from this huge piece of frozen land on the other side of the world, which recently claimed home rule and might, eventually, just say farewell to old fatherland. The only bit of planet colonized by Danes, so that the few locals have to put off the moment when they utter their word (it seems Danish kids averagely start speaking one month after all others). I stumble into S´s aunt, neatly shaved head, metal glasses and frank blueish sparkles coming out of her eyes. And she tells me everything, as if I were a member of the family. She tells me how S´s mom was adopted from Greenland, then accompanied some sick people over there and eventually met his biological mom. These introverted Danes freely tell you all the details of family life, the so called “dirty laundry” an Italian would stubbornly keep just for “la famiglia”. They aren´t the least embarrassed in topics which hypocrite, Catholic-raised countrymen (including me) would blush about.
S´s father is there with his third wife and I can´t guess who is in couple with whom. They sit apart from each other and rarely display anything “couple-like”. So the black-red-purple haired K. is together with the priest-looking guy at the other table, the stout Icelandic is together with the golden-wrapped smiling girl, and K. is here alone, but his wife is home. And yeah, they do have children so young, they make me feel I need to catch up, but I somehow lack the raw material.  i wonder how they manage that, as they don´t seem to be too socially interactive. S´s niece sits in front me. Her name in Italian means “dwarf”, I wonder if she´ll grow so much as everyone around her and will need to change her name.
And,  ventually, its majesty the food makes its long-waited entry. I was fearing some badly pimped version of German daily food, sampling tasteless meat and potatoes. The buffet proves me totally (and happily) wrong. Bread is home-made and I´m still regretting not having stolen a loaf of the best black bread ever, meat is served with yeah, of course, Kartoffeln, but also with lots of different veggies. Starters include salmon, which I never eat, but which I swallow greedily this time, and the dessert is also very nice. I am not sure what exactly I eat, but everything tastes just fine.
After unwrapping his well deserved presents, S. opens new bottles and after various skål the youngest finally warm up a bit and a round table starts off with cozy conversations. Skål is how they cheer over here, and I still don´t know if it comes from the skull the Vikings were said to drink their beer in, or if it´s like someone told me, the  acronym of “beauty”, “happiness”, “success”. I´ll stick to the first option, it fits more to my bunch of clichés and the raw, but somehow pleasant hospitality of these people forged in wind and rigid temperatures. S´s father teases me with an interesting dilemma: Denmark is not the liveliest place in the world and Danes aren´t the funniest people either, but they definitely have democracy and things run smoothly. Italy is the place to go (according to him) for ever-happy people and fun, but we don´t like democracy and we prefer our politicians to be just as trouble makers as we are. I can´t really think of an anthropological explanation, but my mind quickly goes to the Germans, undoubtedly Nordic and not exactly hilarious, and nonetheless so keen on having someone to rule them rigidly .  
J. and I leave the company, I try again to connect to him, but not even alcohol makes him any looser. At home I sink in a sound sleep, my belly full and glad the gathering didn´t resemble Festen. Unless murderous truths were revealed later on.
Second and last half day in the city. J. left the house and I find myself feeling sorry of being so unwanted.  I stroll to the Kirkegård next to J´s place. Parks here are ancient graveyards, and they are just beautiful.  Ruined graves emerge from grass and bent, nude trees stretch out their branches begging desperately for the sun to come out.  A simple sign directs me to two illustrious graves: Andersen´s and Kierkegaard’s. They are absolutely plain, just an engraved plate. Most of the misters-and-misses-no-one in Italy have much more glorious graves, with statues and flowers and gold all over. My camera, overwhelmed with emotion, dies out when I´m trying to take a picture of Kierkegaard’s grave. No wonder he wasn´t too much of a funny fellow, due to his surname.
I have a hard time trying to get out of the cemetery; somehow all the exits are closed. Once out among the living ones, I decide to reach the world-famous Freetown Christiania. It will be just a touch and go, but I can´t miss it. I obviously get lost, but I love that. I end up in a park bordering the sea and I curse Kierkegaard’s jinx at my camera. When I get to Christiania, I just like it. It´s nice to see lips blue with cold singing Bob Marley´s as if they were stranded somewhere in Jamaica. And, above all: diversity. There are families having their Sunday walk, youngsters sporting dreadlocks or spikes, old men sawing wood. I roam around so spellbound and carefree, that I completely ignore the warnings coming from behind me. I find myself on the ground, run over by a guy on a bike. He bursts out in apologies in Danish, then gets me a falafel roll.
My last hour is all about wasting my last coins, just keeping a single one which will end up together with a Czech crown, a Ukrainian hrvynia, an American dollar and so on, my private, casual collection of remaining coins. Food is the best and easiest option, as I can´t afford anything else. I also dared getting “en flamske vafler” in Danish. “med sukker?” “Nej, tak”.
When I reach my bus, I am determined to come back.  The sweet taste of raspberry melt on waffle blends with the somehow melancholic atmosphere I bring back with me. I want to keep my eyes set on the horizon just like the little mermaid , and swim or walk or drive to new places soon.
I am pretending to work here in the office and this afternoon I´ll have to catch up with what I didn´t do this morning. skål to the next trip. 

lunedì 5 dicembre 2011

Lecker! (bbbono!)

Breve post digestivo. Stasera avevo una fame da lupi, oppure, come dicono qui "una fame calda" (Heisshunger).

E' stato divino il ragù congelato di mammà, sia lode alla tecnologia che dopo giorni e giorni ha riconsegnato alle mie papille un siffatto capolavoro. E poi, ormai sono dipendente, non riesco a finire la giornata senza il mio Milchreis.

Il budino di riso e latte, atavico ricordo della nonna. E qui lo fanno industriale. La Muller, che da noi fa fornicare col sapore, qui è molto più sobria. Non ho ancora mai visto i classici joghurt Muller, in compenso nel mio frigo non manca mai il Milchreis. Gusti: vaniglia, puro, cannella, cioccolato, ciliegia. Il mio preferito è alla cannella. 50 centesimi e la mia giornata finisce con un dolce interludio . Dovrei imparare a farmelo da sola, è molto semplice. Oggi, addirittura, mi sono concessa il lusso di prenderlo al banco gastronomia, con lamponi freschi. Un euro e 50.

Ero talmente di buonumore (complice le 48h di stop all' inquinamento acustico cagionato dalla mia, vicina di scrivania, cui dovrò consacrare un apposito post), che mi è sovvenuto che stanotte qui passa Nikolaus. Così ho comprato due mega brezel ricoperti di cioccolato da regalare ai miei coinquilini.

Ah, se non dovessi già convivere con  me stessa, a volte quasi mi sposerei.

Per concludere questo messaggio al mondo, così gaio, informo coloro che si preoccupano della mia ibernazione (per la verità, per i canoni crucchi l'inverno ha ancora da venire), che mi sono finalmente dotata di piumino e del tanto agognato paraorecchie peloso.
In sella non mi ferma più nessuno.

Di toscanici buki e altre spalmabilitá

Prima al lavoro e oggi la mia capa é a Bruxelles. Direi che me la prendo molto comoda, e senza rimorsi.

Domenica casalinga per il mio WG: eravamo tutti provati da una notte con svariati gradi in corpo e pochi fuori. L´unica che ha messo il becco fuori casa sono stata io, in coma profondo ho elargito perle di grammatica italiana e tradotto "Le Nozze di Figaro". Dovevo avere una sí fresca cera, che il mio amabile studente mi ha impedito di tornare a casa in bici.

Cosí ci siamo spalmati sul divano, gentil presente di qualche amico che, alla soglia dei 40 anni, fa la classica cruccata del "mollo tutto e me ne vo", partendo in bici per la Papuasia con due barrette di muesli e del mercurio cromo. Il trionfo del pranzo domenicale crucco.

So che starete cercando di indovinare il menú. A casa padrona incontrastata della tavola sarebbe stata la polenta, nei casi piú disperati una pasta raffazzonata all´ultimo momento. Qui non abbiamo una tavola, solo un mesto tavolino da the Ikea usato.

Orbene, l´apice del brunch domenicale berlinese é....siori e siore rullino i tamburi...il Brötchen. Il panino.
E qui lo spalmabile é un´arte, ci sono talmente tante cose spalmabili, che uno dovrtebbe dotarsi di polsiera per potersele gustare tutte senza acciacchi.

Io, sempre con un certo pudore mediterraneo, ho pillucato con parsimonia, sempre diffidente di ció che é molle e , dáltronde, mai grande fan di Kaori e dei suoi emuli (riguardate lo spot e meditate sulla decadenza galoppante, vi prego).
Dunque, cosí a braccio. Non solo hanno il burro, che é lo spalmabile per eccellenza, il substrato sopra cui tutto il resto dei molli si adagia beato. E, tremate, noi avevamo del BURRO CON OLIO D´OLIVA. Cioé questo panetto di burro, presumo danese visto l´imballo con sole O sbarrate, era al sapore di olio. Purtroppo il sistema nervoso era parecchio rallentato, e non ho né documentato con una foto, né riesco a ritrovare l´impervio nome su internet. Ma credetemi, non era un mio incubo. Prima o poi ve lo proveró, anche se non lo porvero´mai, dovessero forzarmici.

Il formagio fresco, poi, puó essere mischiato con qualunque cosa. Due esempi, fra gli svariati (e tutti piuttosto sulle note dle puzzolente andante):
- il BRESSO, una versione locale del kaoriano Phildadelphia

e...
il BUKO TOSKANA. Vai a spiegargli cosa significa "buco", per i toscani. Per loro "buko" evoca la scioglievolezza di un pessimo formaggio con pomodori secchi, un impiastro rosino che fa imbnizzarrire le mie pupille ed ermeticamente chiudere le mie papille.

Discorrendo con C., collega ed amico altrettanto espatriato, (lui ha scelto l´Oltralpe), si ventilava l´ipotesi di riciclarci come consulenti di nomi italiani. O sono solo io che non mangerei mai "Buko" e "spagetti Alfredo" di marca "Miracoli" in un ristorante chiamato "Bella mamma" sfoggiando un abito "Vero Moda" menrtre sorseggio un cappuccino "Gianni"?

Tra un prelibato boccone e l´altro, ogni tanto perfino i miei criptici coinquilini hanno proferito verbo. Peraltro, il composto, elegante N., la sera prima ha appeso una bottiglia di champagne alla porta, non riesco a capire perché. Poi se la sono scolata a colazione, dopo essersi addormentati vestiti sul divano, coi rispettivi letti a 5 mt massimi di distanza. Cosí J. ha cominciato a ripetere in loop "gato", "gato", "gato" perché la parola gli piace e gli viene da ridere. Poi si ´cimentato, col mio puntuale aiuto, in una sintassi un po´piú ardita, cosí il jingle é diventato "il gato sudato su deto", che sarebbe "il gatto é seduto sul tetto", tradotto a insistente richiesta sua. Voi immaginatevi un crucco di due metri, il giorno dopo una sbronza epica, che gira per casa in braghini corti mentre voi siete omino Michelin, che biascica come una beghina in chiesa "gato sudato su deto" e poi "gato seduto sul pesce". E poi, ebbro di giuoia, lo ripete in crucco, cosí il gatto divente "katze", e l´omofonia salta alle orecchie. Uno dei miei pochi, ma fedeli lettori, avrá un déja vu di un ospite random crucchissimo, zero melanina esaltata da una felpa verde mela elettrico che, in uno zozzo bar orobico ha passato ore a cinguettare ubriaco "machina di cermania, questa machina di cermania", indicando fiero un origami fatto con i tovaglioli.

In tutto questo scempio domenicale, i non battezzati coinquilini miei hanno acceso la seconda candela dell´Avvento, e in generale amano spegnere le luci e mangiare al soffuso lume di candela. Sospetto sia per pagare meno la luce, son piu tirchi di me, ma se non doveste piú avere mie nuove, potrei essere novella pulzella, avvinta dal rogo prenatalizio.

Mi sembra che i tratti salienti del mio ieri siano stati questi. Piú una nuova conquista lessicale, ovvero "vorglühen", letteralmente pre-riscaldare o pre-luccicare, in realtá l´usanza di bere prima dell´apertura ufficiale delle bevute, quello che i colleghi´dOltremanica chiamano, piú sempicemente, pre-drinking.

Ah, il budino di uova crude, zucchero, cacao e finti savoiardi ("biscotti da cucchiaio"=Löffelkekse) é stato ingurgitato, senza nemmeno troppe remore. ´
Benevenuto lunedí

sabato 3 dicembre 2011

Alla fine habemus non uno, ma due tiramisu.

Quello in grande stile per l'houseparty di stasera pare impeccabile.
Quello ad uso interno, beh ecco... ho dimenticato giusto un dettaglio...

il mascarpone!!

no comment. Anche se sospetto che i miei coinquilini apprezzeranno comunque, è una specie di budino di uova crude, zucchero, cacao e biscotti.

Peraltro, pensavo che quel tiramisu zoppo, lasciato da ore sul balcone, si sente un po' come me. Il sapore è buono, nulla da dire.

Viene solo il dubbio che resti insieme e resista.

Vallo domestico e quesiti presovietici

La massaia che ormai prospera in me, ieri dopo il lavoro, sfidando le intermperie, in sella al suo destriero biruote è volata al supermercato per procurarsi tutti gli ingredienti necessari a comporre un (si spera) buon tiramisu. Stasera cena da un'amica in cui ognuno porta qualcosa. E, giustamente, alla francese tocca una quiche, al polacco la vodka, al romeno sangue (ma di Giuda) e da me ci si aspetta grande arte pasticcera.

Ma nella splendida, teutonicamente impeccabile scaletta mentale che mi ero prefissa, ho dimenticato di tenere in conto l'Inconveniente.

La sorella di J. è qui per il weekend. Fortuna che nella spesa pro-tiramisu, ho incluso anche tutti quei beni di comune utilizzo della casa, previo apposito post-it collettivo sul frigo che recitava "Cosa ci serve?" (per la cronaca: rotolo da cucina, da bagno, detersivume vario). Perchè, ovviamente, anche la ragazza di J è inclusa nel weekend formato famiglia, e quindi i consumi domestici crescono esponenizlamente.

La sorella dorme sul comodo divano in soggiorno. Ovvero, costituisce l'invalicabile, adrianesco, detestabile vallo fra me e la cucina, dove contavo di dar subito sfoggio delle mie qualità. Prima di accendere il tutorial di Giallo Zafferano per cimentarmi col dolce, dovrei destreggiarmi nel caos primordiale che l'aumento demografico di ieri sera ha procurato in cucina (si deve menzionare anche un'amica di passaggio che abbiamo sfamato).

Che fare?
Forse nemmeno Lenin e Cernishevski saprebbero darmi saggi consiglio.

Sgranocchio nervosamente una barretta di musli, unica cosa edibile al di qua del vallo. L'alternativa sarebbe rimetter mano alla scaletta di cui sopra, anteponendo il punto 2 e 3 all'1. Ma ciò comporta una certa elasticità mentale che, forse a causa del clima rigido di quassù, sto cominciando a perdere. Il punto 2 prevedeva una doccia, che non mi sembra saggio anteporre a faccende domestiche e albumi a neve, e il 3 l'acquisto senza fallo di un paraorecchie peloso, a fronte della comprovata inutilità del vezzoso cappellino di lana traforata mentre pedalo beata verso l'ufficio.

Opto per l'attendismo scandito da colpi di tosse, si sa mai che prima o poi qualcun altro si svegli e abbia meno riguardo di me, innescando il processo domino del risveglio collettivo.

giovedì 1 dicembre 2011

germanizzazione delle papille e socialdemocrazia verbale

Un veloce post prima di orizzontalizzare i miei muscoli anchilosati.

Ieri ho mangiato i "Kartoffelpuffer". Si dà il caso che l'onnipresente ragazza di J. sia la pargola di un imprenditore del settore patatifero, più precisamente dei derivati delle regine della tavola crucca. E quindi nelle nostre riserve non mancano mai schiere di bustine per ogni evenienza. Ma fino a ieri, ancora non mie ro avventurata nel mondo della Patata.
Un Kartoffelpuffer è una specie di tortino con uova e patate. Ma la nota che non t'aspetti è...la mousse di mele. Ora, la mousse di mele è uno dei miei alimenti base qui, la trovo deliziosa e fa bene anche all'ego, per la sua parvenza di alimento sano. Non l'avrei mai abbinata alle patate, eppure mi sono dovuta ricredere. Come i vicini polacchi, i crucchi amano queste combinazioni per noi poco ortodosse, mail risultato era buono. O sarà la germanizzazione delle papille?

Meditando di consacrare presto qualche riga che descriva la mia sopravvivenza culinaria, in omaggio alla migliore tradizione à la Clerici e per inorridire i puritani della cucina italica, concludo con una nota grammaticale.
Ieri ho "con-mangiato" pur senza aver "con-cucinato". Spesso non pago il biglietto dei mezzi, perchè se viaggio con chi ha l'abbonamento "con-viaggio". Così suonerebbe la traduzione letterale- e pragmatica- dei verbi tedeschi "mitessen", "mitkochen" e "mitfahren", seguendo la coppia "mitowhnen/convivere". Immagino ce ne sia una pletora , perchè quasi tutto si può "con-fare" (esiste, difatti, anche "mitmachen", oppure "con.-cantare", "con-suonare").

E con questa nota socialdemocratica, vado a dormire (senza con-dormire) .

Di uova, acido lattico e buchi del naso

Tornare a fare sport dopo almeno 10 anni di immobilità. Riscoprire una parvenza di bicipiti, tricipiti e, soprattutto, lo sfrigolio dell'acido lattico e i reumatismi che mi faranno solerte compagnia notturna.
Basta come motivazione per non aver nemmeno la forza di tasteggiare?

Ah, per chi fosse curioso: trattasi di basket. Mi sembrava il giusto compromesso fra un campo non troppo lungo, una minore probabilità di infortuni e il gioco di squadra, visto che muovermi con un'invasata al ritmo di "su, forza, dai, vai di gluteo" o un qualunque sport solitario mi deprimerebbero dopo due minuti.
Mi sono fatta prestare una maglietta (visto che la morosa del coinquilino ha squattato la lavatrice) ed era una maglietta con una megabandiera di Israele e qualche parola a me inintelleggibile, prestata dalla nuova amica e collega francese che ci ha fatto 6 mesi di stage. L'ho indossata cautelativamente al contrario, timorosa di incappare in qualche neonazi. Ovviamente, di quanto diceva l'allenatore (nome e cognome italici,a quanto si intravvedeva anche la dotazione pilifera, ma per il resto puro crucco) molto mi restava oscuro. Così ho riscoperto il pascolian fanciullino, o forse la darwiniana scimmiona che è in me, e mi sono messa ad imitare qualunque mossa le altre ragazze facessero. Per non parlare di quando, seguendo non so che schema, dovevamo gridare determinate parole, immagino corrispondano a posizioni del basket. Di una capivo solo "Ei", che significa "uovo", per cui urlavo "EI!", ma credo fosse qualcosa come "deny". Mah.
All'uscita dovevo avere un gran bell'aspetto: la faccia ancor più pervicacemente acromatica che sfoggio in Crucchia era paonazza, tanto da farmi sentire un vago effetto evidenziatore ai capelli, gli occhi sbarrati e il corpo cosparso di sudore cristallizzato, per buona pace delle narici altrui compresso sotto la giacca. perdonate il dettaglio chic, ma quando mi sono imbattuta nel mio riflesso, mi è sembrato di vedere una crucca, e mi sono spaventata.
Poi, sempre determinata a vincere il premio "massaia dell'anno", dopo una doverosa doccia e il recupero dell'uso delle braccia, ho anche spadellato per i miei pasti di domani, così da non dovermi portare un triste panino al lavoro. In cucina ho incrociato il coinquilino J, che da giorni traffica con il suo portatile, smontandolo fino alle più minute molecole. Qualche minuto fa è saltellato in camera mia con la masterboard (qualunque cosa sia) appena sfornata. E intendo proprio tolta dal forno, meticolosamente avvolta nell'alluminio, tanto che pensavo fosse una torta dal nome bislacco.
E ora, col peso degli anni (ma, ahime, non solo), non mi resta che dedicarvi, col cuore, la parola del titolo, in cui sono incappata oggi in ufficio, mentre cercavo di mappare la distribuzione europea di un inguardabile video UE sul corretto uso degli antibiotici.
Nasennebenhöhlenentzündung
ovvero, "l'infiammazione vicino ai buchi del naso". O, per profani, la sinusite.