lunedì 5 marzo 2012

antropopedagogia domenicale

Due veloci esperimenti antropedagogici in cui mi sono cimentata per santificare le feste.
1)      Mollemente stravaccata sul divano, ho messo le mani dietro la schiena, cercando di fare un discorso senza l´uso degli arti anteriori. Esperimento intrapreso dopo la distruzione di una tazzina, colpevole di essersi messa sulla traiettoria del mio braccio retoricamente gesticolante.
2)      B. è affascinato, suo malgrado, dal suono della parola “cazzo”, inteso come intercalare. Ho deciso di passare alla fase pedagogica numero due, dopo quella della mera pronuncia: l´intonazione, perché sará pur vero che la parola si usa come virgola, ma puó esprimere sorpresa, disappunto, arrabbiatura, rassegnazione.
Risultati:
1)      Ho cominciato a divincolarmi con le gambe e il mento, incredula io stessa di quanto le appendici anteriori siano fondamentali per la mia espressione.
2)      ESILARANTE. Il gesto universalmente ritenuto marchio di italianità è il “che vuoi”, possibilmente con due mani (si veda qui e qui). Per cui il migliore sketch è stato giudicato quello del “che c. vuoi”. Non male anche la perfomance dell´intercalare usato come segno di apprezzamento.
Conclusioni:
Al mio rimpatrio, abbraccerò un siciliano, sussurrandogli all´orecchio: “adesso so cosa vuol dire essere terroni”. In Italia considerata una crauta, qui un babbá. Miriam come Tonio Kröger?

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