domenica 13 maggio 2012

del lusso di perdersi

In mancanza di un caffè mattutino, mi accontento del sapore chimico del Ritter Sport all' espresso.
Un occhio al calendario e uno alla finestra, e mi chiedo se non sia, in realtà, novembre.
Ieri mattina mi sono persa, non ho fatto altro che perdermi. Un lusso che, beata gioventù studentesca, ormai mi concedo solo molto di rado, al netto dei sensi di colpa sempre in agguato perchè, in fondo, il mio cervello è un perenne reminder di cose da fare o che dovrei fare.
Il sole, ieri, non è mai durato più di 5 minuti di fila, in un continuo, rabbioso corpo a corpo con nuvole metalliche. Non avevo meta, solo la bici che, come rabdomante in trance, seguiva percorsi suoi, a zonzo nella Prenzlauerberg degli yuppies. Bambine con le trecce bionde e pargoletti che si rotolavano nella sabbia (d'ordinanza in qualunque parco giochi), giovanissime mamme con due passeggini e ancora una pancia sospetta, rasta con sciarpe di vera seta colorate a mano.
Mi sono ritrovata su Kollwitzstrasse, tra un mercatino delle pulci organizzato da una scuola elementare, e la piacevole scoperta del mercato settimanale.
Nessun indizio del traffico del centro città, stand e baracchini appostati sotto ogni albero, tutto a dar l'illusione che, almeno per una volta, il tempo non è da contare, controllare, scandire, ma da lasciar scorrere come viene. Ad un bancone si vende pasta fatta in casa con indubitabile accento napoletano, a quello vicino un libanese richiama le junge Dame più con i profumi delle sue mille salse che non con la litania che proferisce. Imparo cos'è un goezleme, una specie di enorme piadina turca con qualunque possibile ripieno, mentre osservo anche troppo a lungo un intero clan famigliare che sembra non far altro che impastarne e sfornarne da generazioni.
Mi soffermo sui mille colori di magliette di cotone organico, subito mi viene spiegato perchè per un pezzo di stoffa ombelicale dovrei voler pagare 40 E. Cercando bene, scovo un'altra tavolozza con due maniche ed un collo e l' ex sessantottina me la lascia per 5 E. Anche io potrò sfoggiare verde, rosa, blu e giallo in un colpo solo, anche se senza il marchio di tracciabilità e col dubbio che a renderla così sgargiante sia stato qualche pennello chimico quanto il ritter che sto mangiando ora.
Sgranocchio un brezel tipiedo di forno e mi offrono un cantuccino di dubbia autencità, indugio su qualche orecchino dall'aria abbordabile e capisco che sono nel cuore del quartiere cosiddetto "gentrificato".
Prenzlauerberg stava, tutto sommato, ad Est. Poi sono arrivati gli artisti, gli yuppy, gli svevi (che sono geograficamente terroni, ma sgobboni e di accento contadino come i...diciamo bresciani), i musicist spagnoli, gli avventurieri italiani. E adesso è chic, l'area residenziale dove i bar con le scritte in cirillico offrono colazioni così sontuose da non riuscire più ad alzarsi, dove le boutique vendono con nonchalance sandali che penseresti di trovare a pochi spiccioli e hanno, invece, le stesse etichette di quelli di via Montenapoleone, il quartiere dove trovi dentisti per soli bambini, mi immagino con trapani colorati e bonari dottori alla Patch Adams.
D' obbligo è il pellegrinaggio alla Kulturbrauerei, ex fabbrica di birra trasformata in cinema, sale da esposizione, teatro. Fra le mura spesse ci si dimentica di essere in una metropoli, davanti a me una coppia di almeno settantenni si tiene per mano e di nuovo penso al tempo, che talvolta può non essere tiranno. Se non fosse che, di nuovo, ho dimenticato la macchina fotografica, e quello sguardo di complicità incurante delle rughe e degli sfregi del tiranno dovrò ricordarmelo da me.
Assolutamente a caso (se il caso mi concede l'ossimoro), finisco nel museo di quartiere. Sono, manco a dirlo, l'unica visitatrice di questa pigra mattinata sabatina. La signora che si era appisolata all' ingresso mi saluta tutta gaia e mi lascia sola nelle sale dove scopro come si presentava prima del fatidico 1989 il quartiere dove abito da poco più di un mese. Così scopro che il brutto parchetto fuori casa, un' accozzaglia senza gusto di alberi di ogni specie che profila casermoni tutti uguali, era un esperimento di residenza della DDR. Dalle foto d'epoca, entusiasti giovani padri di famiglia si trasferiscono nei cubi per loro costruiti, affacciati sul memoriale al comunista Thaelmann, incarcerato, poi spedito a Buchenwald e infine ucciso quando ormai l'ariana gloria del Terzo Reich stava per capitolare al passo marziale del comunismo di Mosca. Scopro che la Lili Henoch della via che taglio ogni giorno in bici era una poliedrica stella dello sport, fino a quando la fecero scendere del treno speciale che doveva portarla al ghetto di Riga e le spararono, senza nemmeno lasciarle le sue tante, giudee medaglie sul petto.
E ancora, passeggio tra le foto del "picnic paneuropeo": nell' agosto '89, i gitanti della Germania Est si radunarono a Sopron, ridente meta di vacanze ungherese, e con la scusa di un giovale pomeriggio tra salsicce nelle tende montate sopra le Trabi, varcarono la Cortina. Un pic-nic, appunto, il muro ideologico e di mattoni frantumato in sordina, scambiandosi cartoline nel sole del lago Balaton. Sul libro degli ospiti, qualcuno si è firmato raccontando di esserci stato, altri si lamentano di non aver capito il senso della mostra e chiedono perchè sui pannelli ci fosse quell' idioma assolutamente mostriforme (ungherese).
Non passo nemmeno da casa, mi faccio trovare direttamente al Prater, Biergarten nei pressi dove ci si è dati appuntamento con la scusa del compleanno di qualcuno. Qui non ci sono cortine, ma sfido chiunque a non individuare il tavolo latino. Quello caciarone dove, addirittura, si parla e si ride. Come sempre, sono la fine della penisola, o l' inizio dell'Alemannia, quella cerniera cromaticamente travisabile che sguazza negli stereotipi. Dopo qualche birra, vengo convinta a delinquere. Si esce con borse in spalla e si fa incetta di birre a 80 centesimi allo Spaeti più vicino. Se il controllo teutone ci sbatterà fuori, diremo che noi no capire tetesco. Puntuale, un cameriere rasato in felpa nera arriva a dirci che le nostre birre o ce le beviamo fuori, ma proprio fuori, sulla strada, o le sequestra lui. Mi beo di essere l' unica che, avendola travasata nel bicchiere del locale, può rimanere a bersela senza patemi. Salvo il disappunto del tavolo alla mia sinistra, il cui sguardo di rimprovero quasi mi guasta la bionda tanto sudata.
Quando il freddo si fa davvero troppo fuori stagione per continuare a fingere che sia davvero fine maggio, ci trasciniamo in un posto al chiuso. Infine, guido tutti verso casa mia, per sperimentare un anonimo, kitschissimo ristorante fuori mano, non segnato da nessuna Lonely Planet, ma che ogni sera mi promette Schnitzel giganti. A giudicare dalle circonferenze degli avventori, la dimensione c'è. A noi testarne la qualità. Il menù di plastica ci fa da tovagliette : ci sono 50 combinazioni di verse di cotoletta, ognuna disponibile in versione normale, media, XL o XXL (un kg). Io opto per un'ignava media, i temerari della XXL a fine impresa immortalano il successo e potrebbe lo scatto che finirà sulla loro lapide.
B. emerge dalle tenebre e mi raggiunge, unico non italico perso in una tavolata che sghignazza sguaiatamente, ed è inutile cercare di tradurgli le pessime battute che i varesotti (o varesini?), ormai senza più nemmeno la parvenza di freni inibotori, fanno a ripetizione contro "i festival della gayaggine" ch si aggirano per strada.
A casa, oltre la testa di Thaelmann, il mio coinquilino mi attende birra alla mano e joystick nell' altra. Lui e altri due stanno giocando a qualche strano videogioco, lascio in ostaggio B. per una sfida fra soli teutoni e penso che domani (cioè oggi) proverò per la prima volta una parmigiana di melanzane.
In un accesso di casalinghitudine, ieri mattina prima di perdermi ho acceso Giallo Zafferano e mi sono lasciata convincere dalla fida Sonia che il pasticciare con gli ingredienti avrebbe portato ad un buon risultato.
Lo scoprirò a breve, giusto prima di co-babysitterare la nipotina del mio prode coinquilino. A Sonia non ho detto che al posto del caciocavallo, ho trovato solo della scamorza, anzi, della scarmoza.

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