giovedì 31 maggio 2012

Epifanie cicliche (e a bordo di ciclo)

In 25 anni di onorata, uman carriera, non ho (quasi) mai guardato le previsioni del tempo. Mi é sempre sembrata una mania da champagne socialist (mi piaceva usare la parola). Mi sono sempre e  solo svogliatamente svegliata, buttato un occhio fuori dalla finestra, e vestita secondo la stagione. Anche perché i diktat materni mi hanno sempre imposto di "cambiare gli armadi", truce, ginnica operazione domestica a cadenza diciamo quadrimestrale.
Poi, nata sotto la nefasta stella di Chernobyl, ho dovuto presto imparare che "non ci sono piú stagioni", ma mi sono sempre vantata di avere una certa flessibiltá termica.

Per pigrizia, da due giorni sono in pantaloni a tre quarti, alla zuava, a pinocchietto, alla Capri che dir si voglia. E ho pure sfoggiato una canottiera in puro stile Prenzlauerberg: apparenza hippy, tripudio di colori, ma comprata in un mercatino di quelli puliti ed irreggimentati, dove un hippy convinto lo manderebbero via a calci.

Germanizzazione che avanza.

Ma a contrastarla, c´é sempre la vecchia protervia italica. La cui epifania é sempre in sella.

Ogni giorno una italiana si sveglia, e sa che dovrá pedalare. Ogni giorno un crucco si sveglia, e sa che dovrá fare lo stesso. Ci incontriamo puntualmente fra la Greifswalder e la Marienburger. Prima dell´incrocio vero, c´é un semaforo la cui natura mi resterá sempre imperscrutabile: é cieco, finto, inutile. Ogni volta incoccio il rosso e dovrei fermarmi, solo in ossequio al potere di quel dananto semaforo. E ogni volta lascio il crucco di turno allibito sui suoi pedali, sgattaiolando furtiva e consapevole della mia macchia. Non mi volto, trasgredisco consapevole, un misto di orgoglio del Belpaese e un filo di coscienza che punge.

Oggi, invece, ero pensierosa. E ho infranto ben due divieti in un colpo solo, per il gran gaudio degli astanti. Sbracciando al cellulare, ho violato la norma non scritta che vieta di farlo. E subito dopo, ho osato tagliare la strada al ciclista dietro di me, virando repentinamente a destra senza metter fuori il braccio, visto che l´arto era intensamente imepgnato a sottolineare la conversazione proibita.
Il pedalatore di turno ha cominciato a sciorinare, senza tuttavia troppo alterarsi, frasi del tipo "ma é impazzita? ma cosa fa? ma non mi ha visto?" Io, al suo posto, avrei piazzato un climax di improperi, a sfoggio della mia arte retorica. Questo, invece, sembrava di piú un sottofondo da mosca agonizzante, un ronzio infinito a catena. Al decimo minuto di iterazione (piché il destino incroció i nostri percorsi), mi sono mollemente girata, ho allentato ogni muscolo facciale nella miglior interpretazione della serie "faccia di tolla" . Il ferito (nell´animo e nell´integerrimitá) pedalatore mi ha gaurdato soddisfatto, finalmente gli avrei reso giustizia e dato una risposta ai quesiti esistenziali che lo attanaglianavano.

Magari ero stata colpita sulla via di Damasco, oppure dalla sindrome della restless leg, o ancora tutto era parte di un esperimento per monitorare la tneuta di nervi della popolazione cittadina quando sottoposta a stress.

"mi scusi, ma mi pare che sia sopravvissuto".

Spannung. Momento di ghiaccio. Tutto si ferma. L´obiettivo della telecamera inquadra i volti esterrefatti, la musica sottolinea la tensione. Punto di svolta, il peggio potrebbe accadere.

Hai voluto la bicicletta? Mo pedala. E ho giusto scoperto ieri che qui si dice "ti sei versato la zuppa, mo te la scucchiai"

Ed é giusto ora di filare in pausa pranzo. A piedi, stavolta.

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