domenica 8 gennaio 2012

Bellezza

Prendi un sabato mattina qualunque, il primo da mesi in cui non devi raggiungere un violinista romeno per tradurre i testi de "Le nozze di Figaro". Un paio d'ore di sonno extra, che in fondo sai di non meritare ma ti godi, e poi addirittura ti concedi uno pseudocappuccino e una brioche al self-service fuori casa. Il tempo è impietoso, pioggerellina ghiacciata e raffiche di vento rabbiose, ma Berlino è lì, grigia eppur ammiccante, pare di sentire il canto di qualche Sirena nascosta fra le cicatrici di questa città democraticamente maltrattata da antidemocrazie di destra e di sinistra, un richiamo irresistibile fra i casermoni, il cemento e il cielo plumbeo.
Giaccone e cappuccio, zaino in spalla, e con la scusa di dover riempire il frigo, sgattaiolo fuori dal WG ancora dormiente, rassegnata a dover più tardi pulire, al solito, lo scempio che J&N hanno lasciato in cucina.
Dribblo frotte di pericolosi ombrelli vaganti, sotto cui immagino trovarsi altrettanti turisti, e zompetto di qua e di là dalla Sprea.
Capito al museo di Schinkel, grande architetto prussiano, il cui solo difetto pare essere la quasi omofonia con "prosciutto". E lì, il Caso mi concede di buttare l'occhio sulla Bellezza.

Sacrilegio supremo, ho dimenticato la macchina fotografica. Il museo ospita una piccola esposizione (ma con l'impagabile pregio di esser gratuita) in una ex chiesa, un affestellamento di busti, statue, fregi della scuola neoclassica. Non c'è luce nel sabato berlinese, e comunque l'austerità della chiesa gotica non permetterebbe al sole di lustrarsi i raggi con questi marmi e bronzi.
Credo di essermi fermata per interminabili minuti, la bocca ad "O" davanti alla regina Luisa di Prussia morente. La seconda prova per il suo sarcofago è semplicemente sublime, non riesco a non toccare furtivamente il sudario e i veli, perchè il mio cervello non può concepire che siano di marmo e non veri. La guardo negli occhi mestamente tristi, sembra colta nell'esatto momento in cui quel soffio che chiamano anima la lascia, forse per sempre.


E' un sabato fortunato. Tramite il mio provvidenziale studente, io, Agata1 e Agata2, nivee e impeccabili polacche in versione abito da sera, ci ritroviamo nel palco centrale, fila 4 per la Turandot. Il motivetto "all'alba vincerò" che associo a non so quale pubblicità dell'infanzia, prorompe dal petto di un tozzo tenore e mi inchioda alla poltroncina. Di nuovo, sono di fronte alla Bellezza, mi sembra abbia una forza talmente pura da non riuscire a muovermi.

Con negli occhi le contorsioni del marmo indocilito dal genio umano, e nelle orecchie lo strazio della schiava Liu, impiccata per amore del suo padrone, torno poi alla mie consuete paludi: nella borsa ho una maglia dell'Atalanta per omaggiare il neotrentenne C., catalano e amico doc.
La Sirena tace, ma spero mi sussurrerrà di nuovo presto..


PS: ma "sussurrerrà" è una tortura da pronunciare...provate a farlo da inglesi, tedeschi, francesi o cinesi.

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