martedì 10 gennaio 2012

cronache di ordinaria berlinitá

Scoccate le 18, in groppa al mio destriero biruote (ormai monco del faro davanti), pedalo verso Gudrun. Questo il dolce nome della scultorea crucca con cui comincio un nuovo corso di conversazione italiana. Dopo un piluccamento di passato prossimo e imperfetto, passando per "essere come cane e gatto", lascio il suo metro e ottanta e qualcosa e penso di godermi il silenzio della maison.

Non avevo fatto i conti con l´altra Sirena che canta a Berlino: quella della perdizione. E invece di probi marinai coi tappi alle orecchie, sono circondata da entusiasti compagni d´avventura che in pasto alle Sirene mi ci gettano.
L´amica italiana C. mi invita per un innocuo mangia&via fuori casa, e cosí faccio, mettendo a tacere i ruggiti ventrali che mi perseguitano da troppe ore, da quando, cioé, mi son svegliata scoprendo che J&N (ma sospetto J) hanno spazzolato impunemente la mia colazione.
La prodiga C. sfodera una bottiglia di vodka e un provvidenziale Späti (negozietti aperti tutta notte) ci fornisce la Fanta per mischiarla. A qualche via da casa mia c´é un "language exchange": frotte di umanitá da ogni dove e una torre di Babele stipata in un barettino arredato all´oriental-Ikea.
É cosí che incontro la prima mongola della mia vita, di cui, ahimé, non ricordo il nome, e anche Uwe, nome che scopro non essere muliebre, visto che designa un corpulento (e calvo) trentenne che comincia dove finisce la sua bottiglia di birra.
Non ricordo a quante stupidate e in quante pseudolingue ho dato fiato, ma il momento del non ritorno é arrivato quando un azero (altra nazionalitá pregiata) ci ha trascinati al vicino salsaclub. Ho abboccato perché l´ingresso era gratuito e si prospettava un interessante human watching, visto che io ballo con la stessa voglia (e grazia) con cui un orso con la sciatica camminerebbe in un negozio di Swarowski.

Per evitare di avere a che fare con la buon costume, evito di descrivere il mio tentativo di ballo, frutto di coercizione e circonvenzione di incapaci. Stringevo in mano a mo´di minaccia la carta di identitá di un americano residente a Mosca e ho preteso che il supplizio della salsa venisse condiviso dagli altri recalcitranti come me: un rasta svevo che mi parlava in francese, e il sosia americano di ET che pretendeva che io capissi il suo zoppicante ceco.

All work and all play makes me a freaky girl. 

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